Venerdì 15 Novembre 2024

“Sul tetto del mondo”, quando la realtà non dovrebbe superare la fantasia

Alessio Boni e Nicole Grimaudo

Gli ascolti di domenica sera hanno inequivocabilmente dimostrato la preferenza dei telespettatori per la leggerezza – un po’ grossier - di “Scherzi a parte”, su Canale 5, che ha totalizzato oltre il 21% di share, rispetto alla storia dell’amore fra Walter Bonatti e Rossana Podestà, “Sul tetto del mondo” che, su Raiuno ha raccolto poco più del 13%. La importante differenza degli ascolti, però, può essere in parte attribuita alla indecisione narrativa che ha caratterizzato la docufiction di Raiuno, che si avvaleva della regia di Stefano Vicario, figlio dell’attrice ed è proprio questa parentela che, a nostro avviso, ha condizionato la resa del prodotto. I docu film che, al momento, sembrano il genere televisivo di punta, in realtà, presentano una problematica comune, ovvero la scelta fra la precisione storica e la necessaria libertà del racconto. Per un verso, infatti, la ricostruzione documentaristica con filmati del tempo o contributi esterni, consolida la veridicità della narrazione, per altro, però, attutisce le emozioni, che tanto più peso hanno quando la trama parla di sentimenti, come nel caso del legame profondo fra l’alpinista e l’attrice che con Bonatti condivise l’amore per la montagna. Se a questa pregiudiziale di fondo aggiungiamo che il regista era coinvolto affettivamente nel ricordo e nella realizzazione del film, è evidente che il rigore documentaristico, che nulla concedeva alla fantasia, ha avuto la prevalenza sulla narrazione romanzata. Pesava, infatti, la volontà di non tradire i fatti, di restituire una dimensione aderente alla verità di due vite diversamente vissute ma che per amore avevano scelto un percorso comune della loro esistenza. Possiamo dirvi, però, che è stato un peccato, perché, senza nulla togliere alla realtà dei fatti, una curata rappresentazione delle persone e delle loro vicende, raccontata senza scadere nel sentimentalismo ma con una partecipazione affettuosa, avrebbe certamente amplificato la bellezza della storia, l’avrebbe resa più appassionante e meglio l’avrebbe fatta apprezzare a quanti non la conoscevano. Il continuo interrompere degli interventi, soprattutto delle interviste, in alcuni casi superflue, non solo nulla aggiungeva alla narrazione, ma, anzi l’appesantiva e, di più spezzava i momenti di intensità che venivano ripercorsi. Se a ciò si aggiunge la recitazione empaticamente didascalica di Nicole Grimaudo che impersonava la Podestà senza che si percepisse un effettivo coinvolgimento, si può comprendere come il pubblico non abbia avvertito quella spinta necessaria a ripercorrere la storia.

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