Vincerà l’Ucraina, noi italiani siamo fortissimi e Amadeus ora farà un master in puntualità presso l’Unione europea di radiodiffusione, che organizza l’Eurovision Song Contest e il cui Supervisore Esecutivo, Martin Österdahl, siede di diritto fra Ursula Von der Leyen e Alessandro Ceferin.
Questo il quadro d’insieme dell’Eurovision 2022 la cui prima semifinale era organizzata con lo stesso sfarzo della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi. Una scenografia hollywoodiana, giochi di luce che avrebbero illuminato un paese per una settimana, cascate d’acqua realizzate deviando un pezzo di Po, ma soprattutto una tempistica da sogno: in due ore si sono esibiti 15 cantanti mentre a parità di tempo, a Sanremo, hanno cantato in 3.
A presentare ci abbiamo piazzato il meglio di quelli che conoscono le lingue, cioè Mika che ne parla 26 ma ormai gesticola anche in italiano, Alessandro Cattelan che si compiace del suo inglese fluently, ma soprattutto Laura Pausini, che quando non ha trovato il termine inglese corretto si è aiutata con un «Porca vacca» di sana e robusta costituzione. Si trattava, però, di una gag già provata in precedenza e non di una caduta di stile, e, a tal proposito, qualcuno dica alla Pausini che il colore che sfila è il nero e non il rosa shocking e tantomeno il fucsia glitterato, perché ne va del buon nome dell’alta moda italiana.
In verità, a noi a casa, più che ascoltare i tre sul palco, è toccato il commento da studio di Carolina Di Domenico che quest’anno si è aggiunta al duo della scorsa edizione, ovvero Gabriele Corsi e Cristiano Malgioglio, truccato come un cantante dei Kiss, che ha azzeccato tutte le canzoni che hanno superato il turno ma, soprattutto, ha rivelato tutta la sua schiera di ex fidanzati sparsi per tutte le nazioni partecipanti.
Sebbene, fra quelle ascoltate, ci piaccia immensamente la canzone sul trenino della Moldavia, un misto pop/folk (che ora si chiama etnico) degno d’un film di Kusturica, eseguita da una band dall’impronunciabile nome, la favorita per la vittoria è l’Ucraina, con la Kalush Orchestra, un po’ per il momento storico, un po’ per la standing ovation che ha avuto, ma soprattutto per la canzone assolutamente originale e dal verso struggente «Troveremo la strada di casa, anche se sono tutte distrutte». Per il resto l’Eurovision sembra una gigantesca fiera di paese, nella quale i cantanti, spesso rinnegando l’idioma di appartenenza, si esibiscono in inglese perché fa più figo e sfoggiano improbabili abbigliamenti a dimostrazione che la musica non ha confini ma il buon gusto sì.
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