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Benigni e il Cantico: una struggente preghiera che è un ringraziamento alla bellezza del creato

Roberto Benigni

C’è una struggente spiritualità nella recitazione del «Cantico delle creature» con il quale Roberto Benigni conclude il suo monologo su San Francesco, nel suo ritorno in tv su Paramount +. Dopo I Dieci Comandamenti, la Divina Commedia e la Costituzione, Benigni si misura con la figura del Santo di Assisi e della lode al Creato e al Creatore, dettata dal Poverello nel 1224 ai suoi confrati e, ancora una volta, fa di uno spettacolo, nato per il tempo e lo spazio televisivo, una summa teologica di interesse contemporaneo. Benigni riporta alla attualità la vita e il pensiero del giovane Francesco e, con la grazia e la leggerezza che gli è propria, in un monologo senza respiro lo racconta quasi come un influencer del tempo.

Francesco è un laico che nella sua inquietudine, placata dalla visione del divino, sposa la povertà per stare accanto agli ultimi, per non restare indifferente in un’epoca violenta e oscura che è il suo Medioevo, ma della quale lo spettatore non può non cogliere l’analogia con il presente.

La narrazione di Benigni è storica e aneddotica, alta nella ricostruzione del personaggio e dell’epoca, piana e semplice nella comunicazione, perché tutti comprendano e perché possano riflettere sulla grandezza di un uomo che rivoluzionò i parametri della religione e del sentimento verso Dio, parlando per primo della e alla natura come opera divina e di meravigliosa bellezza per gli uomini. La sua capacità di adattare il registro lieve e la spiegazione colta alla vita di San Francesco affascina e rende tangibile la suggestione che fa di Benigni uno studioso senza supponenza, un cantastorie che rende onore alla grandezza del personaggio con il quale si misura.

Ma è quando dalla vita del Santo Benigni si sposta all’esegesi del Cantico delle Creature che il suo racconto, naturalmente e senza alcuna pretesa didascalica, diviene quasi compassione nella preghiera, perché la lode alle creature della natura non è solo lode al Creatore ma un inno alla vita e un invito alla compenetrazione nella bellezza di ciò che ci circonda.

Ciò che, ancora una volta, stupisce di Benigni è la sua capacità, da laico, di calarsi in un profondo senso della fede, esponendo i concetti – non ultimo il passaggio che conclude il Cantico, sulla morte – con una intima partecipazione che coinvolge ed estasia coloro che lo ascoltano.
È un attimo di sospensione quello che, nella registrazione dell’evento, passa fra il canto delle allodole che concludono la recitazione del Cantico e l’applauso che irrompe fra gli spettatori che hanno assistito alla performance, un silenzio che esprime, inconsapevolmente, il vero raccoglimento nella preghiera raccontata da Benigni.

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