Il titolo, «I Cacciatori del cielo», è al plurale ma, in effetti, la storia è al singolare ed è quella di Francesco Baracca. Raiuno si è inserita nell’ambito delle celebrazioni per i cento anni della aeronautica militare, proponendo il racconto delle gesta compiute dall’Asso degli Assi nel corso della prima guerra mondiale, a cui si deve anche la nascita del corpo militare. Plurali sono anche gli stili del film tv, forse troppi, spesso usati come espedienti. «I Cacciatori del cielo» sarebbe, sostanzialmente una fiction nella quale si racconta il periodo bellico del ’15 - ’18, legato alle prime imprese aeree, con Beppe Fiorello nei panni, ovviamente, del protagonista. Tuttavia nel corso della narrazione si incastonano sia filmati dell’epoca, sia il racconto in prima persona di alcuni protagonisti, sia una parte fumettistica. Ciò che, apparentemente, è una miscellanea di linguaggi – sicuramente troppi e troppo diversi – ha una sua funzionalità, perché riesce a dare al telespettatore la reale immagine dei rudimentali velivoli in uso al tempo, abbrevia il racconto puramente storico-cronologico, rappresenta in maniera ideale alcune battaglie aeree non riproducibili. Tutta la fiction è entusiasticamente votata alla celebrazione dell’anniversario e, per essere coerentemente retorici, degli «eroici e ardimentosi uomini che, con sprezzo del pericolo ingaggiarono duelli nei cieli della Patria compiendo gesta memorabili», ma non c’è dubbio che le storie raccontate in sottofondo contribuiscono alla resa del film tv. Se, però, il legame di Baracca con la giovane promessa della lirica Norina Cristofoli – interpretata da Claudia Vismara – aveva un fondamento storico, non sembra avere uguale riscontro l’amicizia fra l’aviatore e il personaggio affidato ad Andrea Bosca, ovvero Bartolomeo Piovesan, il meccanico preposto alla manutenzione dell’aereo e al quale si deve l’adozione di alcuni accorgimenti che rendevano più agevole il combattimento in volo. Ciò non toglie che l’inserimento della storia di amicizia aveva anche una sua logica nel contesto bellico, dei rapporti fra militari lontani dalle famiglie, di dispacci che comunicavano le tristi notizie delle morti in battaglia o delle disfatte sul fronte. Per questo, al di là della retorica delle celebrazioni, delle guerre che furono e di quelle che, purtroppo, sono, l’espressione più autentica della fiction ci è sembrata quella sussurrata in dialetto da Ciro Esposito – nella finzione Fulco Ruffo di Calabria – , che, apprendendo della morte di un commilitone, si lascia sfuggire a mezza voce «stu ca… ‘e guerra».