Il ritratto di una gioventù che crede fermamente nello Stato di diritto e nella meritocrazia, disposta a qualsiasi sacrifico per imparare a difendere la Patria e il cittadino, nella docuserie di Claudio Camarca “Basco Rosso”, prodotta da Rai Approfondimento e Groenlandia, che torna stasera su Rai1 (ore 23.25) con la terza e penultima puntata, dopo aver vinto la seconda serata della scorsa settimana, con 762.000 spettatori e il 7,90% di share. Si racconta il duro addestramento di coloro che scelgono di far parte degli Squadroni Eliportati Cacciatori, reparto d’élite dell’Arma dei Carabinieri, in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata, che inizia nella caserma del Tuscania a Livorno per concludersi alla Luigi Razza di Vibo Valentia, base operativa dei Cacciatori di Calabria, già narrati da Camarca nella serie “Lo Squadrone” (2018).
«Rispetto ad altri miei lavori ho lasciato spazio ad istruttori e ragazzi – ci dice il regista – perché narrassero le motivazioni che li spingono a rischiare se stessi per abbracciare un sistema valoriale così alto. Da parte di chi deve servire Stato, Patria e cittadino si esige sacrificio, abnegazione, capacità di reggere la fatica, perché combattere le narcomafie vuol dire stare in trincea».
La serie mostra per la prima volta un addestramento militare dall’interno.
«Sono stato un osservatore sul campo – dice il regista – . Con il capo istruttore Vincenzo Di Pierro eravamo già amici, mentre gli altri membri del reparto hanno avuto modo di conoscermi durante il mio soggiorno che si è protratto due settimane in più rispetto alle otto di addestramento. Abbiamo avuto accesso a situazioni logistiche cui i civili non hanno ingresso e dove non sono mai state portate macchine da presa. Spazi sensibili, perché le caserme di Livorno e Vibo sono caserme militari operative. Nel corso di quelle settimane è nata un’amicizia anche con gli altri».
Le puntate in onda fino al 24 aprile documenteranno la seconda fase di addestramento a Vibo Valentia.
«Abbiamo fatto arrivare a Vibo tutti e quattro i raggruppamenti, ovvero Sicilia, Sardegna, Calabria e Puglia, e i ragazzi hanno preso contatto con gli altri istruttori, avendo così occasione di toccare con mano quello che avrebbero dovuto abbracciare. Ci sono lezioni da parte di chi tutti i giorni combatte la ’ndrangheta, dagli stessi che di recente hanno arrestato Michelangelo Raso sulla piana di Rosarno. Quando si inizia l’addestramento con queste persone avviene un’immediata immedesimazione nel ruolo: ciò per me è stato fondamentale, come per i ragazzi».
Come in altre tue docuserie c’è una narrazione da cinema d’azione alquanto coinvolgente che tuttavia non snatura il racconto.
«È fondamentale riuscire a dare allo spettatore una visione più aderente possibile alla realtà, dal momento che raccontiamo corpi delle Forze dell’Ordine, che fanno dell’azione l’attività precipua del loro servizio. C’è un’analisi a monte, una riflessione, un’organizzazione e poi interviene l’azione; e raccontarla credo sia l’elemento in più che in qualche modo rende lo spettatore co-protagonista di un’operazione. Per fare questo è necessario che i ragazzi della troupe siano disposti anche ad arrampicarsi sulle rocce come abbiamo fatto in Aspromonte o, come è stato per “Avamposti”, ad entrare nelle case dei latitanti e nelle zone degli spacciatori con tutti i rischi che questo comporta».
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