«Ragazzi io non voglio essere epurato, occhio a quello che dite. Già immagino la riunione dei vertici Rai: c'è uno bravo, che facciamo? Cacciamolo via. C'è uno che fa guadagnare la Rai, via». E anche questa volta, chi non ha avuto timore di ironizzare, dicendo ciò che molti pensano ma non dicono, è stato Rosario Fiorello, su “Viva Raidue” mostrando la foto di Fabio Fazio con la didascalia «Il tempo che faceva» il giorno dopo la comunicazione del passaggio su Discovery insieme con Luciana Littizzetto. Fiorello non ha avuto remore, insomma, a porre l’accento sulla discutibilità dei metodi di sostituzione, per cui c’è fermento in Rai, e più volte nei giorni passati aveva fatto riferimento ad un temuto cambio in corsa di Amadeus alla conduzione del Festival di Sanremo. Anticipando quelle che erano le determinazioni già trapelate dalla in coming dirigenza Rai, Fazio, infatti, ha preferito andar via “spontaneamente”, non senza aver prima stipulato un ricco contratto con la piattaforma Discovery, con la quale si appresta a nuovi progetti. Così domenica sera, durante la sua trasmissione, il presentatore ligure ha sobriamente annunciato la separazione dalla Rai dopo 40 anni di carriera, senza alcun accenno di vittimismo, né di rivendicazione. Fazio può piacere o non piacere, ma è persona troppo navigata per non sapere il peso “politico” di «Che tempo che fa», in cui l’impegno civile militante si manifesta anche attraverso gli argomenti e gli ospiti, e per non comprendere che lo spoil system investe la comunicazione mediatica capace di creare consenso, orientamento, dibattito. Quello che meno, però, si comprende, come appunto dice Fiorello, è la miopia con la quale la Rai, che è un’azienda che fa profitti, rinuncia ad un personaggio che fa ascolti e garantisce un introito certo, senza sapere se chi lo sostituirà avrà lo stesso peso specifico e garantirà gli stessi parametri di qualità e reddito. E ancor meno si comprendono le decisioni, di cui da giorni si parla, che riguardano varie trasmissioni di puro intrattenimento e che prevedono criteri di sostituzioni non già legati ad un fisiologico avvicendamento o ad un transito di meriti, ma imposti da logiche partitiche e affermazioni di potere. Insomma nei prossimi giorni, con l’assestamento delle posizioni di vertice in Rai, si comprenderanno meglio gli sviluppi. I telespettatori che non saranno soddisfatti delle scelte potranno utilizzare l’arma del telecomando, i funzionari Rai si appelleranno all’adeguamento alle direttive dall’alto, i sostituiti faranno probabilmente la fortuna di altre reti o piattaforme, ma saranno i beneficiati sostituti a dover fare attenzione a non far rimpiangere il predecessore, perché passare da sostituto a surrogato è un attimo.