Domenica 24 Novembre 2024

La grande fuga da «TeleMeloni»: analisi d’uno spoils system che non ha funzionato

La chiamano Telemeloni, ma c’è qualcosa di tafazziano nel comportamento che la Rai ha assunto in quest’ultimo anno e il cui risultato si può sintetizzare in tre punti: fuga dei personaggi televisivi di alto profilo, sostituzione di conduttori e programmi, un sensibile calo degli ascolti con corrispondente vantaggio delle reti concorrenti. L’analisi assume poi una connotazione politica, sia perché i telespettatori vanno ad “abbeverarsi” ad altre fonti di informazione, sfuggendo alla comunicazione istituzionalmente orientata, ma anche perché i flop delle singole trasmissioni e alcuni infelici cambi e spostamenti di programmi portano conseguenze in termini di raccolta pubblicitaria, aggravate anche dalla eventuale manovra di riduzione del canone tv. In realtà, l’osservanza ortodossa dello spoils system della c.d. Telemeloni, applicata dai burocrati della Rai, presentava sin da subito carenze basilari. La “sostituzione culturale” alla quale ambiva il partito di governo, infatti, sarebbe dovuta partire proprio da un progetto alternativo valido e consistente, tale da offrire effettivamente una diversa visione intellettuale, mentre si è limitata ad un mero avvicendamento con personaggi graditi al sistema che hanno preso il posto di altri, apparentemente portatori sani di simpatie contrarie al partito di governo. Né i programmi di rimpiazzo presentavano una identità culturale solida ma si assestavano su modelli mal fatti e mal gestiti, come dimostra il caso De Girolamo e il suo seguito di polemiche. Il principio vale, con altri effetti, anche per i programmi d’intrattenimento, nei quali l’affezione del pubblico passa dalla credibilità del conduttore. La controtendenza di questi ultimi giorni, che ha portato i vertici della tv di Stato ad assumere iniziative per arginare l’emorragia di telespettatori, giunge tuttavia quando sono già andati via molti personaggi che potevano vantare un accreditamento culturale presso i telespettatori, senza considerare che anche le migliori scelte in termini di personalità alle quali affidare nuove trasmissioni devono guadagnarsi l’attenzione del pubblico scontando un rodaggio non semplice. Altro errore è stato poi quello di sottovalutare la concorrenza. Ai tempi dell’ “editto bulgaro” berlusconiano, che vide l’allontanamento dalla Rai di Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, infatti, non esisteva né l’offerta televisiva di oggi, che fra piattaforme a pagamento e canali in chiaro rappresenta una alternativa più che valida, né esistevano reti che avevano una capacità di reazione pressoché immediata. La7 e la Nove, che infatti, stanno traendo profitto in termini di ascolti, hanno avuto l’opportunità, ma soprattutto la capacità, non solo di dare asilo ai transfughi Rai assorbendo pari pari le trasmissioni e, così, un patrimonio in termini di esperienza e telespettatori, ma soprattutto sono riusciti a personalizzare i loro palinsesti. La 7 che già vanta, con Mentana e le sue maratone, la copertura dell’attualità, l’analisi politica della Gruber, il consolidamento della posizione di Gramellini e, ora l’avvento di Augias, il seguito di Propaganda Live, le ricostruzioni storiche di Aldo Cazzullo, per non parlare di altri programmi di approfondimento, può rivendicare un ruolo che molto si avvicina alla vecchia Raitre di Angelo Guglielmi, e sta assumendo una connotazione di alto profilo nell’infotainment, per non parlare della possibilità che Fedez (al quale la Rai aveva vietato la partecipazione a «Belve»), conduca «Chi vuol essere milionario», con un fattore di attrazione quantomeno proporzionato ai suoi follower. Insomma, la miopia della Rai sta producendo danni incalcolabili, sia in termini di perdita di credibilità che di affidabilità, ma soprattutto sta dimostrando l’incapacità di essere servizio pubblico e valido strumento di approfondimento. E dopo l’accordo fra Italia a Albania sui centri per i migranti, non vorremmo che la Rai diventasse la nuova Agon Channel.

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