Il tema, ovvero il racconto dei giorni che precedettero la caduta del fascismo, probabilmente non è fra i più noti al grande pubblico, ma neanche fra i più amati, considerato che le prime due puntate della mini serie «La lunga notte. La caduta del Duce», che si è conclusa martedì su Raiuno, hanno avuto uno share inferiore, se pur di poco, al Grande Fratello semi-Vip di stanza su Canale 5. Una magra soddisfazione per Telemeloni, che sull’onda patriottica delle fiction fra qualche settimana ci propinerà anche la storia di Mameli e dell’inno d’Italia, del quale tutti cantano la prima strofa perché la seconda è ignota ai più.
Digressioni a parte, la lunga notte è quella fra il 24 e il 25 luglio 1943 ma la fiction di Giacomo Campiotti si sofferma a narrare le settimane precedenti in cui Dino Grandi, esponente di primo piano del regime fascista, intuendo l’ormai prossima disfatta, si fece autore dell’ordine del giorno proposto al Gran Consiglio del Fascio che decretò la caduta del regime. Primeggia, quindi, in tutta la serie la figura di Grandi, interpretata da Alessio Boni, che tuttavia oscilla fra una personalità desiderosa di mettersi in luce e di conquistare onorificenze, titoli nobiliari e cariche di prestigio e un uomo d’azione che con una buona dose di coraggio sfida l’apparato fascista più violento e lo stesso Mussolini del quale non condivide più il disegno scellerato. Se la rappresentazione degli eventi si fosse limitata al fatto storico in sé, probabilmente la fiction sarebbe risultata meglio orientata, soprattutto per quella sottile vena un po’ da spy story che purtroppo non riesce mai a emergere pienamente. Ma poiché nelle fiction italiane spesso il contorno vale più della pietanza, le puntate sono farcite di fatti spesso non essenziali e che dovrebbero alleggerire la vicenda, che già di suo è di evidente pesantezza. Spazio, quindi, a siparietti forse inventati ma certamente non funzionali alla vicenda come la liason fra la nipote di Grandi e il figlio di un suo amico, suicidato dall’Ovra, incursioni glamour nella coppia Edda-Galeazzo, qualche scena hot, questa sì veritiera, fra Mussolini e Claretta, giusto per consolidare il mito del duce instancabile amante.
Sul fronte Savoia, la situazione non migliora, il re non brilla per risolutezza, il figlio Umberto è allineato e anche la principessa Maria Josè, il cui ruolo antagonista viene storicamente riconosciuto, è praticamente ridotta a reale casalinga disperata. Insomma, contrariamente ad uno dei più noti motti dell’epoca fascista, questa fiction non ha avuto il coraggio di osare fino in fondo, non è destinata a durare nella memoria del telespettatore e, men che meno, a vincere la gara degli ascolti.
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