Saranno rimasti delusi coloro che speravano di trovare nella serie di Netflix, liberamente ispirata alla vita di Rocco Siffredi, una versione televisiva hard delle “gesta” che hanno reso noto il protagonista, perché «Supersex» è un’operazione che solo funzionalmente al racconto guarda alla cinematografia porno. Perché, sì, ovviamente, Siffredi è universalmente noto per la sua attività nell’industria del sesso, ma in realtà la serie si concentra sulla vita del protagonista con uno spaccato biografico e introspettivo non banale. Gli episodi si nutrono di flashback, con continui rimandi alla vita di Rocco Tano, bambino fragile, diviso fra l’ammirazione per il fratello maggiore e la pena per il fratello disabile, cresciuto in un contesto familiare modesto, che scopre di avere un “superpotere” e le evoluzioni di un’esistenza nella quale il giovane Rocco cerca la sua strada avvalendosi proprio dell’unica potenzialità che è certo gli appartiene per connaturale facilità e desiderio, ma con la quale si deve confrontare per un percorso di vita autentico. In «Supersex» c’è una presa di coscienza e un tormento psicologico che certamente in maniera non convenzionale si evolve in passaggi cruciali della personalità del protagonista, quasi come un racconto di formazione. Dall’iniziale spavalderia del giovane che finalizza le sue incontenibili pulsioni nel mercato del sesso, alla ricerca dell’uomo di un sentimento da poter canalizzare in una storia autentica ma che non venga mortificata proprio dal suo essere attore porno. La perversione, la nudità, la mercificazione vanno di pari passo con il successo, la ricchezza e la libertà che Rocco pensa di aver conquistato, ma che lasciano spazio a interrogativi sulle differenze fra il vissuto maschile e femminile sulla base di una analoga potenzialità, su un senso di vuoto che stenta a trasformarsi in appartenenza. È bravissimo Alessandro Borghi nel saper dare al protagonista le sfumature più svariate, nell’interpretare un disagio camuffandolo da sfrontatezza, nel riuscire a equilibrare la tensione emotiva di Siffredi senza farla scomparire o prevalere su quella che è la sua primaria attitudine. Un lavoro attoriale che aggiunge valore ad un prodotto di difficile collocazione e dal facile fraintendimento e che va riconosciuto anche a Jasmine Trinca che interpreta Lucia, prima vera iniziatrice di Rocco al sesso e figura femminilmente speculare del protagonista. Quella di Netflix, insomma, è stata un’operazione ardita ma riuscita, non orientata a scavare nel mondo del porno, ma a servirsene per spiegare la personalità complessa e travagliata di un uomo che deve far pace con se stesso.