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“I fratelli Corsaro”, toni da commedia un po’ forzati in una splendida Palermo

La buona notizia è che “I fratelli Corsaro” il mercoledì in prima serata su Canale 5, non è una fiction turca, di quelle che Mediaset ormai compra all’ingrosso e che comportano una immigrazione di attori da fotoromanzo che abbandonano Istanbul per prendere la residenza in qualche reality italiano. Fabrizio e Roberto Corsaro, sono interpretati rispettivamente da Giuseppe Fiorello e Paolo Briguglia e l’altra buona notizia è che Giuseppe Fiorello, in questa fiction non è un eroe, non muore tragicamente e non ci fa la predica sociale, ma è un giornalista donnaiolo e un po’ “cazzaro”, mentre il fratello è un serio avvocato, timorato di Dio e desideroso di diventare padre, nonostante la moglie non abbia tutta questa voglia di dedicarsi alla maternità, fatto questo che comporta la denatalità anche nelle fiction. Insomma, contrariamente alle cronache attuali, i due fratelli non litigano per l’eredità ma per le differenze caratteriali che li contraddistinguono e sulle quali si regge la parte leggera della serie. Ora, al di là di queste felici notazioni sulla trasposizione dei romanzi di Salvo Toscano, dai quali la trama prende spunto, altre buone notizie purtroppo non ce ne sono, perché a nostro avviso, i toni da commedia ci appaiono forzati e non fluidi e la fiction si colloca nell’ambito di quell’aurea mediocritas che, a parte rare eccezioni, è l’unità di misura della serialità televisiva italiana. Il ché sorprende perché la sceneggiatura, oltre che dallo stesso Beppe Fiorello, è firmata anche da Salvatore de Mola e da Pier Paolo Piciarelli, (rispettivamente fra gli sceneggiatori del Commissario Montalbano e Imma Tataranni) che, però in questa produzione non riescono a infondere quella stessa ironia e leggerezza. Al di là dei casi sui quali i fratelli inciampano per lavoro e che risolvono per passione, la sceneggiatura si appiattisce su vari stereotipi, tipo la ruvidezza del solito commissario al quale il Fabrizio giornalista cerca di “estorcere” qualche notizia di prima mano sui casi di cronaca nera, l’ambiente borghese o il pranzo della domenica da mammà, alla cui tavola non manca il sacerdote amico di famiglia interpretato da Maurizio Marchetti. In compenso i palermitani saranno contentissimi, perché la loro città, che fa da sfondo ai racconti, viene ripresa con dovizia di particolari, belle inquadrature di piazze, palazzi nobiliari ed edifici decadenti, la cala, le fontane, Ballarò e tutta la mercanzia da pro loco che può allettare il telespettatore turista. Mancherebbe solo il pane con la meusa e le arancine, come le chiamano a Palermo, ma quelle sono prerogativa di Montalbano.

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