Sconcertante. Non troviamo altro aggettivo per «Libera», la fiction da martedì su Raiuno, con Lunetta Savino nei panni di una giudice. Al netto d’una trama improntata sul dilemma morale della protagonista, madre, nonna e magistrato, divisa fra i principi del suo lavoro e la ricerca della verità sulla morte della figlia, il nostro disappunto nasce dalla pessima rappresentazione della legalità. Libera ravvisa in un imputato l’uomo che potrebbe essere coinvolto nella morte della figlia: da qui una serie di violazioni e abusi commessi in nome del senso materno. Si inizia, appunto, con questo ladruncolo che non è assistito da un legale ma al quale comunque la protagonista commina un provvedimento. Per un altro imputato, invece, l’arringa del difensore è condensata in «Nulla da aggiungere». Ma la giudice, incurante della procedura, invita l’uomo a manifestare il suo dolore, convincendo così il collegio ad applicargli una pena inferiore al massimo chiesto dal PM, che se ne lamenta col presidente del Tribunale, schernendo la nostra eroina. Nel frattempo Libera, con furia vendicativa, rintraccia il presunto assassino della figlia, lo rapisce caricandolo su un furgone (rubato?) non prima di essersi fatta riconoscere da un agente che la ferma ad un posto di blocco. Sul fronte familiare, invece, la nipote di Libera ad una festa dà fuoco all’erba spacciata dai suoi amici e chiama il nonno vicequestore, che con due agenti irrompe nella casa del festeggiato, nipote – guarda caso – del presidente del tribunale, dal quale viene allontanato con fare arrogante. Ora comprendiamo che, per esigenze di tempi, le fiction semplificano i concetti, ma la tv è fonte di informazioni per i telespettatori meno acculturati e veicolare messaggi come la superfluità degli avvocati, l’arroganza dei giudici espressa sotto vari profili, la facilità con la quale la protagonista commette vari reati, non può trovare giustificazione nel fatto che ciò avvenga per una buona causa, perché, non dimentichiamo che si tratta sempre un magistrato che agisce con spregiudicatezza per un suo privato interesse e basandosi su elementi appresi grazie al suo lavoro. Raramente abbiamo visto fiction che delegittimavano il ruolo del difensore in maniera così grossolana, avallando iniziative che mortificano la legalità in nome di un presunto dilemma morale. Come può, con un simile esempio, un cittadino affidarsi alla Giustizia, quando la protagonista, giudice, è convinta che le indagini dei colleghi non siano state approfondite?