Fossimo autori di XFactor, dopo la semifinale di giovedì sera avremmo rassegnato le dimissioni: un’intera stagione a parlare di inclusività, di parità, di diritti e nel momento più importante il pubblico manda al ballottaggio Mimì e Francamente, la nera e la lesbica, e poco importa che – se qualcuno in questo Paese capisse qualcosa di musica, dannazione – le due voci femminili rimaste in gara sarebbero dovute arrivare non solo in finale, ma prima e seconda (nell’ordine che preferite). In un’edizione che aveva già rigettato i Dimensione Brama con il loro frontman androgino e che ha penalizzato oltremisura la povera Paola Iezzi (voto 9), unica giudice donna rimasta prematuramente senza concorrenti non solo per demeriti propri, trionfa il machismo à la Vannacci nelle sue forme più disparate: quello cazzaro e casinista dei Patagarri, quello dark e “maledetto” dei Les Votives, quello imberbe e ammiccante di Lorenzo Salvetti, il ragazzetto che manda in deliquio le fanciulle. Ma ancor di più, trionfa il machismo caciarone e paraculo di Achille Lauro (voto 10), sempre più inascoltabile di puntata in puntata nei suoi sproloqui ma intelligentissimo a captare gli umori del pubblico e portarlo dalla propria parte, trascinando la sua squadra in blocco a una finale nella quale, in netta controtendenza, il rap, l’hip hop e persino il pop sono stati soppiantati dalla canzonetta e dal Dixieland. Il tutto solo grazie al suo personaggio e pur avendo sbagliato metà abbondante delle assegnazioni, con uno-barra-due dei suoi che avrebbero certamente meritato l’eliminazione più di Francamente. Insomma, altro che XFactor: chiamatelo Decima Factor.
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Se c’è un’immagine di questa edizione che resterà nella nostra memoria è l’espressione insieme attonita e furente di Giorgia (voto 10, fantastica per tutto il programma e anche stavolta, quando pure non ha cantato al suo meglio) nel leggere, alla fine della prima manche, la busta che mandava i Patagarri (voto 6), più votati in assoluto, direttamente alla finale di piazza del Plebiscito. È vero, è stato più evidente il suo scuorno quando ha dovuto annunciare il ballottaggio tutto al femminile, ma è stato il passaggio del turno dei Patagarri a sparigliare le carte, facendo diventare la seconda manche una specie di Squid Game. Perché questi ragazzi – che al live nemmeno volevano venirci, se ricordate i loro dubbi durante l’Home Visit con tanto di partecipazione messa ai voti– sono certamente bravi (ma non -issimi), certamente simpatici (-issimi), ma restano totalmente fuori contesto, privi di una qualunque dimensione commerciale fuori dal talent e soprattutto un po’ monocorde: insomma, qualunque cosa suonino, che sia l’Elvis di Can’t help falling in love con l’orchestra o una qualunque delle cover portate finora, suonano più o meno la stessa cosa. Nessun dubbio che sia la debordante personalità del loro giudice a trascinarli, anche perché la stessa immeritata sorte tocca ai Les Votives (voto 7), che riescono a superare anche l’ostacolo di due assegnazioni da TSO: prima Almeno tu nell’universo di Mia Martini (o forse sarebbe più corretto dire di Bruno Lauzi), che nella strofa ha almeno due punti in cui il cantante dei Les Votives non poteva mai farcela e, appunto, non ce l’ha fatta, poi una insipida Crazy degli Gnarls Barkley versione glam rock. Ma dove il peccato di hybris di Lauro resta incredibilmente impunito è nei brani scelti per Lorenzo Salvetti (voto 6): sentendo la sua Caruso siamo stati contenti, per la prima volta, che Lucio Dalla sia morto così da non assistere a questo scempio, invece con Piccolo grande amore di Claudio Baglioni siamo stati trasportati di peso in un pianobar anni Ottanta e onestamente ce lo saremmo risparmiato. Quanto meno ha cantato meglio del superospite Gazzelle (voto 4). Che fosse stonato e senza voce lo sapevamo già, ma quanto è insulso il nuovo singolo?
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Detto del grande vincitore di questa edizione – comunque vada, ma ormai si sa come andrà – passiamo agli sconfitti. Manuel Agnelli (voto 8) si presentava alla semifinale con due concorrenti e ha rischiato di lasciare per strada entrambi: prevedibile l’eliminazione dei Punkcake (voto 8), che sono passati con bella incoscienza da My way di Frank Sinatra nella (per)versione di Sid Vicious a un brano del 2024, Gift Horse degli Idles. Legati a doppio filo al genere senza però perdere freschezza e libertà espressiva, hanno concluso il loro percorso molto più avanti rispetto alle aspettative e possono essere soddisfatti. Mimì (voto 10) è in finale dove sfiderà il trio targato Lauro, ma ci arriva passando dalla porta di servizio del ballottaggio: un esito scandaloso – se è lecito ricorrere a questi termini per quello che resta comunque un gioco – visto che aveva inanellato due esibizioni letteralmente memorabili, prima con l’iconica Strange fruit di Billie Holiday e poi con una Mi sei scoppiato dentro al cuore che sì, sarà piaciuta anche a Mina. A noi in tutta onestà è sembrata la migliore prova sul palco di XFactor da almeno un paio d’anni a questa parte. Eppure Mimì ha rischiato di fermarsi qui, perché l’ultimo scontro l’ha messa di fronte all’altro grande talento di questa edizione, ovvero Francamente (voto 10). Che ha pagato forse un piccolo errore di valutazione del suo mentore Jake La Furia (voto 7): secondo noi le avrebbe giovato un’inversione dei pezzi rispetto alle manche, con L’ultimo bacio di Carmen Consoli (assegnata a furor di popolo e anche a furor di... IlMaxFactor) insieme all’orchestra e Per Elisa di Alice più elettronica. Ha cantato entrambe benissimo, con padronanza e personalità ma anche con una qualità interpretativa di livello superiore, eppure resta fuori dalla finale nonostante abbia l’inedito migliore di tutti. Perché? Beh, se pensate all’interrogativo che ci eravamo posti la scorsa settimana (è torinese o catanese?), con un brano di Carmen Consoli e uno scritto da Franco Battiato ha probabilmente dissipato ogni dubbio. E il pubblico di Fratelli... pardon, d’Italia ha sentenziato: va bene lesbica ma terrona no.
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