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Ma quant’è bello «Il Conte di Montecristo»! E quanto è lento...

Quando per la prima volta «Il Conte di Montecristo» arrivò sugli schemi della Rai, rigorosamente in bianco e nero, nella maggior parte delle case sopra l’apparecchio televisivo veniva collocata una abat-jour a forma di gondola, le fiction si chiamavano sceneggiati e rappresentavano un momento topico per l’educazione di un pubblico in via di formazione culturale e televisiva attraverso i romanzi più popolari della letteratura mondiale. A distanza di oltre 50 anni e dopo una innumerevole serie di trasposizioni televisive e cinematografiche del romanzo di Dumas ci si chiede quale scopo possa avere l’ennesima rappresentazione della vita ricca e tumultuosa di Edmond Dantès che Raiuno affida al premio Oscar Bille August, da lunedì in otto episodi in prima serata.

I veri protagonisti del romanzo, che la serie tv coerentemente rispetta, restano sempre i sentimenti da feuilleton, cioè la cattiveria e l’invidia che mandano un innocente in galera, la vendetta consumata a freddo e i dilemmi morali che travagliano i personaggi. La regia di August esalta il tutto in maniera estetizzante e riesce a dare una funzione complementare alle varie parti che compongono la serie rendendole quasi protagoniste. Le location, per esempio, non sono solo i luoghi in cui si svolge l’azione, ma hanno una loro essenza che le rende organiche alla narrazione. L’isola d’If apparentemente persa in mezzo al mare, in realtà vicinissima a Marsiglia, o la cella nella quale Edmond Dantès viene recluso sono basilari nella descrizione della condizione del prigioniero ma mutano quasi natura quando l’abate Faria inizia l’istruzione del suo protetto spaziando dall’astronomia al galateo. Ed è così anche per i costumi di Mercedes, che passa da un abbigliamento modesto a quello di ricca dama che lo sfoggia quasi con fastidio a sottolineare che la serenità della sua condizione economica non coincide con quella del suo animo. Insomma, August si concentra a nostro avviso con successo su due aspetti: quello estetico, grazie ad una produzione opulenta, e quello psico-drammatico, che scava nell’intimo dei personaggi con lo scopo di approfondirne i dilemmi e le angosce, anche attraverso sottotrame ed esaltazione dei dettagli. Il risultato è certamente di alto profilo, un prodotto completo dal punto di vista narrativo e scenografico, destinato ad un pubblico internazionale ma che nasconde un’inevitabile insidia dettata dalla popolarità della vicenda narrata. Ciò che, infatti, è lo sviluppo naturale della storia alla fine si trasforma in insopprimibile lentezza del racconto.

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