Da ieri c’è un’altra data che resterà per sempre impressa nella storia dello sport italiano, come quelle dei trionfi della Nazionale di calcio ai Mondiali 1982 e 2006, di Mennea nei 200 a Mosca ’80, di Tomba a Calgary ’88. Il primo agosto 2021 due ragazzi di provincia hanno vinto l’oro alle Olimpiadi nei 100 metri e nell’alto. Scritta così sembra quasi una fake news, uno scherzo, un colpo di sole. Invece è tutto vero e sarà impossibile dimenticare queste meravigliose tre ore di una domenica a 40 gradi, incollati davanti alla tv. Un concentrato di emozioni e orgoglio per Marcell Jacobs – il velocista nato in Texas, cresciuto sul Garda e che non sa parlare inglese – e per Gianmarco Tamberi, il saltatore marchigiano capace di dare una poderosa spinta alla sfortuna a conclusione di un percorso sofferto che a Tokyo ha trovato, come per magia o destino, la sublimazione.
In appena dieci minuti Jacobs e Tamberi sono entrati nella Storia e in un infinito abbraccio tricolore, mentre festeggiavano coperti dalla bandiera, hanno unito nuovamente l’Italia a sole tre settimane dal successo agli Europei. Sì, lo sport azzurro sembra essere l’unico collante del Paese in questa seconda estate avvelenata dalla terribile crisi pandemica: fa sognare, gioire, e mette d’accordo. I Giochi esaltano non soltanto il gesto atletico, la competizione e il sacrificio, ma anche l’umanità e il rispetto per l’avversario: i due eroi dalla faccia pulita sono tutto questo e altro ancora e ci hanno fatto esplodere il cuore.
Il miglioramento di Jacobs è stato sbalorditivo. Record italiano nelle batterie e concorrenza avvisata, primato europeo nelle semifinali e netta sensazione di potercela fare a salire sul podio, finale spaziale con il tempo irreale di 9’’80 che, tanto per capirci, gli avrebbe consentito di battere Usain Bolt a Rio 2016!
Solo qualche istante prima Tamberi aveva firmato, ex aequo con l’amico qatariota Barshim, un’impresa di pari valore. Dalla serata del maledetto infortunio al tendine d’Achille del 2016, a poche settimane da Rio dove si sarebbe presentato da favorito, per l’eclettico Gimbo è stata una frenetica, ossessiva rincorsa a quel traguardo a cinque cerchi beffardamente sfumato. Tutto il suo coraggio è rappresentato dal gambaletto di gesso tirato fuori dalla borsa quando la medaglia era ormai sicura e mostrato alla fine come un trofeo: cinque anni di alti e bassi, alla ricerca della rinascita e della migliore condizione che, come i grandissimi campioni, ha ritrovato nel momento più importante, tornando al massimo splendore con un cammino perfetto issandosi fino a 2,37. Al termine nessuno più di lui voleva gridare al mondo la sua incontenibile felicità.
E quando manca una settimana alla chiusura di Tokyo 2020, il nostro bilancio diventa all’improvviso straordinario. L’oro non è più stregato, non siamo solo una fabbrica di argenti e bronzi e il titolo vinto nella gara olimpica per eccellenza e completato dal successo di uno degli indiscussi simboli azzurri, ci proiettano in una dimensione da potenza internazionale, specie se si pensa che abbiamo già eguagliato il totale di podi ottenuti a Londra e Rio e che il record assoluto di 36 medaglie è ormai vicino. E, allora, godiamoci il gran finale con ancora negli occhi immagini incredibili che rivedremo per tutta la vita.
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