Una variegata galleria di quarantadue personaggi, più o meno noti, è al centro di “Eccentrici” (Adelphi, pp. 184, euro 13) di Geminello Alvi - economista, saggista ed editorialista – capace sia di coglierne i tratti biografici irregolari, sia di lanciarsi in variazioni stilistiche degne di nota. Chi sono gli eccentrici? Sono figure talvolta bizzarre, talvolta visionarie che l’autore racconta in poche pagine, scegliendo ora la narrazione in prima, ora quella in terza, alternando una visuale distaccata ad una più emotiva e partecipata, arricchendo il tutto con particolari fisici e annotazioni psicologiche per rendere l’indole dei singoli protagonisti.
Il volume è l’ideale prosecuzione di “Uomini del Novecento” - pubblicato da Adelphi nel 1995 - in cui Alvi celebrava la sfrenatezza del secolo scorso con quarantadue micro biografie, spaziando da Ghandi a Chaplin, da Nuvolari a Jim Morrison. Così in “Eccentrici” Alvi riprende quella fortunata traccia aprendo il volume con Ferdinand von Zeppelin (navigatore) passando poi a Geronimo (capo indiano) ma prima indugiando su Cary Grant (attore). Si chiamava Archibald Alexander Leach ed era un artista circense ma giunto ad Hollywood con la Olimpic – gemella del Titanic – cambiò il suo nome, tracciando la propria via del successo finché, a cinquantuno anni, smise di recitare. Cary Grant non poteva invecchiare sul grande schermo.
C’è spazio per Carlo Lorenzini (il Collodi) cogliendone i chiaroscuri e le sofferenze, e va segnalata la splendida narrazione in prima persona mediante cui Howard Phillips Lovecraft (gentiluomo) si racconta in poche pagine, sino alla fine dei suoi giorni. Altrettanto pregevole è la narrazione a ritroso e in terza persona destinata a narrare la vita di Pellegrino Artusi, etichettato come benefattore, perché autore a proprie spese de “La scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene”. Ricche di pathos sono le pagine di Emilio Salgari (orientale) cogliendone l’amarezza per una vita di stenti e il racconto del sacrificio finale, non già «suicidio, bensì furia di selvaggio rituale».
Toccante il racconto Therese Neumann (digiunatrice) che morì lasciando tutti senza risposte, così come quello di Hans Christian Andersen (ispirato) e della sua «anima di cigno». E ancora Greta Garbo (Ninotchka) e John Ronald Reuel Tolkien (filologo) che «a undici anni aveva letto tutte le fiabe e i possibili libri di avventura».
Alvi ha scritto un delizioso libro da tenere sul comodino, capace di ispirare. Ma perché scrivere altre quarantadue biografie a vent’anni di distanza? Sarà che anche Geminello Alvi ha una nota eccentrica nel narrare?