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Goldfinger, un super cattivo per 007

Goldfinger, un super cattivo per 007

Grazie al cielo Adelphi prosegue nella ripubblicazione della collana 007 firmata da Ian Fleming. Maestro assoluto delle spy stories, leggendo i suoi libri – da “Il Dottor No” a “Moonraker”, da “Casino Royale” a “Dalla Russia con amore” – riscopriamo le tracce e gli spunti che avrebbero ispirato quasi tutti gli autori da allora in poi, fra best seller e titoli discutibili (proprio come accade per Agatha Christie e i giallisti). Scritto nel 1959 e tradotto con grazia da Matteo Codignola, “Goldfinger” (pp. 295 euro 20), è uno dei titoli più famosi di Fleming, il settimo del ciclo di James Bond, l’agente segreto doppio zero con licenza di uccidere più famoso al mondo.

L’azione si svolge fra Miami, Londra, Ginevra e Fort Knox e, come sempre, Fleming tira fuori dal cappello un cattivo con i fiocchi, un uomo detestabile – Auric Goldfinger – emblema del male e colluso con i servizi segreti russi deviati, la SMERSH. L’incontro con Goldfinger è casuale, Bond lo smaschera come baro ingegnoso e così facendo lancia un guanto di sfida che, purtroppo per lui, verrà raccolto.

Nel frattempo si consuma sul suolo inglese un traffico d’oro senza pari che sfugge al controllo della Banca d’Inghilterra, oro usato – si teme – per finanziare le manovre russe e proprio Goldfinger, con la sua Rolls-Royce blindata e un fido coreano al seguito, Oddjob, dalle movenze animalesche e la cieca fedeltà al padrone, è l’indiziato numero uno. Ad un passo dalla morte, Bond verrà graziato e arruolato dal super cattivo ma più non si può dire senza rovinare la lettura.

Ma ciò che colpisce in Fleming è sempre la sua capacità di cogliere i particolari, l’ironia british tagliente e un po’ sessista, il consumo di alcool smodato di Bond, la bellezza atipica delle donne per cui perde la testa e la classe, ça va sans dire, con cui descrive e veste gli attori in scena in avventure sempre brillanti. Chapeau, mr. Fleming.

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