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Svelato il mistero di Peloro?

Svelato il mistero di Peloro?

Di una statua gigantesca che si trovava a Capo Peloro, quindi all’imbocco dello Stretto di Messina si favoleggia da sempre. Ma mai era stato trovato un riscontro obiettivo. Quel riscontro, grazie ad un archeologo dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Cnr di Catania, Fabio Caruso, oggi c’è. Lo studioso, infatti, lo ha trovato in un dipinto murale di età ellenistica appartenente ad un piccolo santuario pagano miracolosamente conservatosi all’interno della catacomba di Santa Lucia a Siracusa.
Una scoperta straordinaria, di cui gli studi classici non potranno non tener conto d’ora in avanti. Il dipinto, pur di carattere chiaramente popolare, a giudizio dell'archeologo, è la più antica rappresentazione dello Stretto di Messina giunta fino a noi.
Vi appare un complesso fortificato sulla riva del mare, dominato da una colossale statua maschile nuda, con un piede appoggiato sulla prua di una nave. Un’iscrizione posta sopra la statua ci informa sull’identità della divinità rappresentata: Zeus Peloros.
«Ci troviamo – aggiunge Caruso – con ogni probabilità, proprio sul lembo estremo del Peloro. A fugare ogni dubbio, a mio giudizio, interviene una seconda figura che si trova nel dipinto, sdraiata fra le onde con un timone sulla spalla: si tratta, come informa l’iscrizione, di Porthmos, vale a dire la personificazione dello Stretto».
Della presenza della statua, o quanto meno di un avvio di “monumentalizzazione” del Peloro, come lo definisce la storica Anna Maria Prestianni Giallombardo, parlano sia Strabone che Valerio Massimo. Strabone narra di un segnacolo emergente, forse un semplice cenotafio dedicato alla memoria del nocchiero di Annibale (Peloro) ingiustamente ucciso dallo stesso condottiero cartaginese convinto che il suo pilota lo avesse tradito facendolo finire in un braccio di mare senza uscite. Resosi conto dell’errore, cercò di rimediare erigendo un monumento in sua memoria.
Più dettagliato è il racconto che ne fa Valerio Massimo, che parla di una «statua che scruta il mare da un alto tumulo» e che probabilmente reggeva in mano un braciere o teneva una fiaccola animata dal fuoco, la cui luce serviva a rendere riconoscibile ai naviganti il profilo dello costa. Rappresentazioni di statue con funzioni di faro, ricorda la Prestianni Giallombardo, appaiono su numerose monete d’età romana imperiale, quali elementi essenziali nella raffigurazione dei porti, di Ostia, Patrasso, Motone nel Pelopenneso, Cesarea di Palestina, Cesarea di Bitinia.
Di un gigante di nome Peloro seppellito a Punta Faro parla anche Placido Samperi nella sua “Iconografia”.
A scrivere apertamente di una statua posta sulla punta di Capo Peloro fu lo storico Olimpiodoro di Tebe. Dopo il sacco di Roma del 410 a.C., il re dei Visigoti, Alarico, dopo avere preso in ostaggio e poi sposato la giovane principessa Galla Placidia, futura imperatrice, si diresse verso Sud allo scopo di passare in Sicilia e da qui raggiungere l’Africa. La spedizione, però, si fermò tuttavia sulla riva italica dello Stretto. Alarico, infatti, fece dietrofront per trovare poi la morte nei pressi di Cosenza. Olimpiodoro racconta che i Visigoti non passarono lo Stretto spaventati dalla statua posta sulla sponda siciliana. Statua dotata del doppio potere di proteggere la Sicilia dal fuoco dell’Etna e dalle invasioni barbariche d’oltremare. Il potere apotropaico della statua, comunque, era destinato ad estinguersi: anni dopo infatti Galla Placidia avrebbe disposto che venisse distrutta.
Come si spiega allora che sono poche le fonti su un argomento di così notevole interesse? Il silenzio delle fonti su momenti anche di grande importanza o “vistosità”, a giudizio di Fabio Caruso – non deve sorprendere, dal momento che a noi è arrivata una parte davvero minima della produzione letteraria greca e romana, e le fonti di informazioni sulla Sicilia di età ellenistica e romana sono irrisorie.

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