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Le misteriose Feste dell'Alloro nei Monti Nebrodi

A Capizzi

La notte tra l’uno e il 2 settembre a Capizzi non si dorme. Le silenziose strade del paese vengono attraversate da decine e decine di cavalieri che vanno a raggiungere piazzetta dei Miracoli, da dove partiranno quasi all’alba per raggiungere il bosco di Cannella (a Cannedda), a Caronia. Comincia così a Capizzi la festa di Sant’Antonio, in ricordo della sosta che il santo taumaturgo fece in questi luoghi durante il suo viaggio in Sicilia nel 1220. Giunti sul posto i pellegrini partecipano alla messa, fanno benedire il pane e l’alloro e dopo aver mangiato castrato e formaggio, nel pomeriggio, fanno ritorno in paese. E lo fanno dando vita ad una vera e propria parata di cavalli e muli addobbati di piante d’alloro che attraversano le strade del paese tra due ali di folla entusiasta e i cacciatori che sparano in aria.

È questa di Capizzi una delle più suggestive feste in cui la pianta dell’alloro occupa un ruolo decisivo sia sul piano rituale che su quello simbolico. Ma Capizzi non è il solo paese dei Nebrodi in cui l’alloro è uno degli elementi principali della festa. Per restare solo in provincia di Messina, l’alloro viene utilizzato come elemento coreografico e caratterizzante nelle feste di San Sebastiano a Tortorici, di San Basilio a San Marco d’Alunzio, della Madonna delle Grazie a Naso e quella di Maria SS. Annunziata di Ficarra. L’unico paese non nebroideo in cui fa la sua comparsa l’alloro è Forza d’Agrò, in cui il lunedì di Pasqua si tiene la benedizione dell’alloro.

I Nebrodi, ancora una volta, si caratterizzano per rituali antichi e misteriosi, che affondano le radici in epoca precristiana e si legano saldamente con culti e cerimoniali legati alla natura e al ciclo delle stagioni. Com’è il caso della famosissima festa del Muzzuni di Alcara Li Fusi. Rituali pagani che mal si conciliano con le feste cristiane, ma che con esse convivono - più o meno in armonia - e si dividono gli spazi e i tempi della festa. Feste e riti che richiamano in maniera sorprendente, sostiene Ignazio Buttitta nel suo Feste dell’Alloro in Sicilia, le dendroforie greche e in particolare le processioni dell’alloro in onore di Apollo (dafneforie) che si tenevano a Delfi, dove un giovane accompagnato da coetanei si recava nella foresta per cogliere l’alloro e quindi in processione tornava in città.

Come accade a Tortorici, dove la processione dell’alloro si tiene a gennaio nell’ambito delle celebrazioni per la festa di San Sebastiano. La domenica mattina più vicina al 13 gennaio, centinaia di persone, provenienti dalle 36 contrade del paese, e preceduti dal suono degli zampognari, si riversano sul corso principale del paese per dare vita alla processione du ddauru. Dopodiché si attende l’arrivo della vara di Sant’Antonio dietro la quale si dispongono i portatori d’alloro. Una volta giunti alla chiesa madre di Santa Maria l’arciprete benedice rami e fedeli. Momento che viene sottolineato dal fitto scampanio e dalla musica della banda. Ottenuta la benedizione molti tornano a casa donando l’alloro ad amici e parenti per un uso decorativo e culinario. Una parte dei rami vengono offerti al Santo e fissati alla cancellata della chiesa madre.

A San Marco d’Alunzio l’alloro fa la sua comparsa il 31 luglio in occasione della festa di San Basilio. E lo fa insieme a rami di castagno, pesco ed altre specie arboree, che vengono addobbati con nastri e cuddureddi. Nel pomeriggio i fedeli, preceduti dalla banda musicale, portano in processione i rami di alloro, per arrivare nei pressi della chiesa del SS. Salvatore, dove alcuni anziani lauriferi danno vita a una serie di balli in cui devono dimostrare una certa perizia per non far cadere i rami. Alla fine spettatori e ballerini si avventano sui rami di alloro e, così come vuole la tradizione, li distruggono.

A Ficarra una volta la festa dell’alloro era simile a quella che si teneva a Tortorici, col tempo però, l’alloro ha assunto più che altro una valenza simbolica. La Madonna viene festeggiata due volte: in agosto (3-4-5) e il 25 marzo, giorno in cui si tiene una processione in cui l’elemento caratterizzante è, per l’appunto, un albero di alloro addobbato con coloratissimi nastri e agrumi. Molti sostengono che questo progressivo allontanamento dalla tradizione sia avvenuto anche a causa della graduale scomparsa della pianta dalle contrade vicine. Fatto sta che i rami dall’albero dopo la benedizione vengono divisi tra i fedeli per buon augurio.

A Naso la festa, che è quella della Madonna delle Grazie, con la presenza dell’alloro, così come a Ficarra, ha perso un po’ della sua valenza e potenza simbolica. Scrive Buttitta che «il sabato successivo la domenica di Pasqua, si celebra ancora, seppure con minore partecipazione di folla, l’antica processione dell’alloro». Buttitta ricorda, a questo proposito, quello che scriveva Giuseppe Pitrè a proposito della tradizione di andare a tagliare i rami d’alloro in quello che veniva chiamato u vadduni u dauru. Rami a cui venivano attaccati pagnotte, arance, fettucce colorate. Dopodiché si disponevano dietro la vara della Madonna delle Grazie e attraversavano il paese. Alla fine della festa si accendevano mischie per impossessarsi di un rametto di alloro per portarselo a casa.

Ma perché l’alloro ? Perché è tra le piante che incarnano l’Albero cosmico; è l’albero dell’eroe solare che vince le tenebre e che contiene elementi salvifici e purificatori; è la pianta dalle virtù energetiche e rigeneratrici (non dimentichiamo che è una pianta sempreverde), la cui simbologia è diffusa tra i greci e i romani che la consideravano una pianta sacra.

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