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Le città siculo-greche tra leggenda e realtà

Le città siculo-greche tra leggenda e realtà

Dapprima si offrono come pure suggestioni verbali: Abacena, Apollonia, Krasto, Demenna, Aluntium, Longane, Agatirno, Calacte, Amestrato. Nomi, solo nomi, non ancora luoghi, città, villaggi: nomi ce giungono a noi da una distanza infinita, direttamente dalla leggenda, quando ancora non esisteva la storia e i greci non erano giunti sulle nostre coste.

Sono le città sicane e sicule, poi ellenizzate, sorte sulla costa tirrenica e sui Peloritani, ma soprattutto sui primi contrafforti dei Nebrodi, laddove l’acqua era abbandonante, così come erano estesi i pascoli e i campi da coltivare e da dove si dominava il territorio circostante per difendersi dai nemici. Di esse, di buona parte di esse, si è scoperta l’ubicazione in tempi relativamente recenti, altre continuano ad alimentare speranze, illusioni, desideri di identificazione da parte di comunità che gradirebbero fregiarsi di natali mitici; di altre, infine, probabilmente non si conoscerà mai il sito dopo lo scempio causato dagli arabi che hanno reso al suolo molte città e stravolto la toponomastica e i riferimenti spaziali.

  A questo si aggiunga che le ricerche sul mondo indigeno sono abbastanza recenti e alquanto parziali. Malgrado le indagini accurate di Paolo Orsi e di Luigi Bernabò Brea, gli scavi di Adamesteanu, di Orlandi e di Biagio Pace, infatti, l’attenzione si è rivolta soprattutto al mondo delle colonie greche lasciando in secondo piano quanto era avvenuto prima del loro arrivo.

Quello che vogliamo offrirvi è un itinerario in parte virtuale e in parte reale che tocchi le città siculo-greche più importanti, anche quando la loro collocazione non è certa o è tuttora oggetto di dispute.

Partiamo da Rometta, l’antica Rametta (in greco ta erymata) passaggio obbligato per chi proviene, valicando i Peloritani, da Zancle e voleva raggiungere la costa tirrenica. Gli scavi effettuati hanno trovato tracce di insediamenti neolitici, mentre la nascita della città si deve ai bizantini. A giudizio di Domenico Ryolo Di Maria, i Siculi, provenienti dall’Italia e passato lo Stretto, “si spinsero sui monti occupando certamente Rometta e cacciando verso occidente i gruppi capannicoli che vi abitavano”. Rometta costituiva un naturale caposaldo per successive penetrazioni, potendo controllare agevolmente il territorio che si apre fino a Milazzo e le Isole Eolie.

A pochi chilometri, su una propaggine montuosa che si affaccia sul torrente Patrì, in territorio di Rodì Milici, sorgeva Longane, sulla cui localizzazione si continua a discutere da anni, ma che a giudizio del grande archeologo Luigi Bernabò Brea, sorgeva sul pianoro di Monte Pirgo. Per molto tempo si è pensato (e c’è chi lo pensa ancora) che essa sorgesse in prossimità di Barcellona, in quanto il torrente che l’attraversa è chiamato Longano. La sua storia è avvolta nel mistero in quanto gli antichi storici l’hanno completamente ignorata. Essa venne presumibilmente distrutta prima del 485 a.C. da Scite, tiranno di Zancle. La sua esistenza è invece dimostrata dal ritrovamento di una rarissima moneta (una litra d’argento) pervenutaci in pochi esemplari e di un caduceo di bronzo oggi conservato al British Museum di Londra. Nonché  da una serie di opere civili e difensive: un fortino su Monte Cocuzza (tra i più antichi della Sicilia), tombe cavate nel tufo pliocenico di Monte Grassorella. Infine, il teatro: osservando, infatti, la zona posta sud-ovest di Monte Ciappa si ha l’impressione che la disposizione attuale del terreno risponda al profilo della cavea di un teatro. Ma fino ad ora nulla è stato scoperto ad avvolorare questa ipotesi.

Ridisceso il Patrì e ripresa la strada nazionale fino a Furnari, imbocchiamo la strada che attraversando Mazzarrà Sant’Andrea, porta a Tripi. Qui, sorgeva Abacena, una delle città sicule più antiche e importanti, la cui localizzazione ormai è pacifica. Il primo a parlarne fu, nel 1558, nella sua “Storia della Sicilia” il domenicano Tommaso Fazello. “Il Castel di Tripi – scrisse Fazello – è posto in un alto e discosceso monte. Sotto alle mura di questo castello si vedono le rovine di una grande città, ma rovinata in sin dà fondamenti, che sono pietre tagliate in quadro pezzi di colonna e fortezze rovinate. Ma io, né appresso d’alcun altro, non ho trovato insino adesso che città fusse questa”.

Questa indeterminatezza portò molti a ritenere che Abacena in realtà sorgesse vicino a Novara di Sicilia, l’antica Noa, e addirittura c’è stato chi la localizzò dalle parti di Gallodoro. A fugare ogni dubbio fu il prof. Salinas, in seguito al rinvenimento nel 1886 in contrada “Currao”, sotto Pizzo Cisterna, di una vasta necropoli e di antiche monete.

La sua importanza è legata al ruolo che rivestì nell’antichità essendo posta in una posizione geografica di grande valenza strategica che le permetteva di dominare la valle del torrente Mazzarrà (l’antica Elicona), cioè la via di comunicazione che collega il versante jonico a quello tirrenico, l’attuale tracciato stradale seguito dalla SS 185  di Sella Mandrazze “Giardini Naxos-Terme Vigliatore”. La sua decadenza è da ascriversi alla politica di Dionisio I a seguito del conflitto con Cartagine, che portò il tiranno siracusano, nel 396 a.C., a sottrarre alla città sicula molta parte del suo territorio che servì per la fondazione di Tyndaris. Per qualche tempo le due città vicine convissero, dopodiché Tindari prese il sopravvento e per Abacena fu la fine.

Da un punti di vista archeologico la sua importanza deriva dalla qualità di conservazione dei reperti finora ritrovati: monumenti funerari integri. Visitare gli scavi non è ancora possibile, quello che è possibile, attualmente, è arrampicarsi fino ai ruderi del castello e lasciare che lo sguardo spazi tutt’attorno e si abbandoni alla vertigine di un panorama unico. La fantasia farà il resto. Da qualche anno, però, a Tripi è stato aperto un museo in cui è esposto parte del corredo funerario rinvenuto nella necropoli.

Abbandonate le ultime propaggini peloritane, raggiungiamo, seguendo uno dei tratti di costa più belli della Sicilia, Capo d’Orlando, nei pressi della quale si ritiene sorgesse, anche se a tutt’oggi il sito non è stato individuato, Agatirno, che i geografi greco-romani, comunque, localizzano tra Tindari e Calacte (Caronia). Vuole la leggenda che Agatirno venne fondata da uno dei sei figli di Eolo, il dio dei venti, Agatirno appunto, da cui prese il nome. Lui e i suoi fratelli, si legge nell’Odissea, erano ancora “nel fiore degli anni” quando Ulisse approdò alle Eolie. Scrive Franco Ingrillì che la fondazione di Agatirno “avviene alla fine di un ciclo storico, alla soglia di un passaggio epocale”, nel momento in cui, nel XII sec. a.C., veniva meno il ruolo commerciale esercitato dalle Eolie.

Appollaiata a 540 metri sul livello del mare, a sette chilometri e mezzo dal mare, se ne sta San Marco d’Alunzio, dove sorgeva l’antica Aluntium, città pregreca che raggiunse il suo splendore proprio con i greci.

Ritornati sulla costa risaliamo la bellissima vallata del torrente Rosmarino (una volta chiamato Cida) dominato dall’imponente massiccio dolomitico delle Rocche del Krasto, su cui sorgeva Krasto, altra città mitica, dove sono stati rinvenuti diversi reperti e sono ancora visibili i resti di un centro fortificato. Di essa parlano gli storici greci Erotodo e Neante, Filisto, il geografo greco Polemone, Stefano il Bizantino e l’erudito Suida.

Stefano, nel libro delle città, scrive che Krasto fu città sicana e, secondo Filisto (Sicularum Rerum, lib. XIII), in essa ebbe i natali il poeta comico Epicarmo. Polemone, da parte sua, esalta la bellezza delle sue donne.

Fra Alcara e San Marco d’Alunzio sorgeva poi un altro centro le cui origini e l’esistenza stessa sono immersi nella leggenda: Demenna, da cui prese il nome uno dei Valli in cui venne divisa la Siciliadagli Arabi, il Val Demone.

A 5mila passi da Alcara, scrive il Fazello, si trova San Fratello, più in alto del quale, arroccata in cima a Monte Vecchio, sorgeva la città di Apollonia. L’area dell’antica città, cinta da una fortificazione in blocchi (sicuramente anteriore al IV a.C.) che affiora a tratti, è pressoché inesplorata. Sul piano politico Apollonia fu legata per molto tempo con Enghion (probabilmente Troina, ma c’è chi la identifica con Nicosia) al tempo in cui tirano della città era Leptine.

Ridiscendendo verso la Strada statale 113, che prenderemo nei pressi della foce della fiumara dell’Inganno, costeggiamo il mare fino a Caronia. Qui sorgeva Calacte, la città fondata da Ducezio, re dei Siculi, il condottiero sotto il cui comando nasce la Lega dei Siculi nel 453 a.C. La città sorse, probabilmente, nel declivio che scende verso il mare. Gli scavi hanno portato alla luce una necropoli nei pressi del castello normanno.

Il nostro viaggio virtuale si conclude a Mistretta, l’antica Amestrato, dal fenicio Am-Asthart, cioè gente di Astarte. Nella sua travagliata esistenza cambiò nome variate volte: Amestratus la cita Cicerone nelle “Verrine”; Mytistratum la chiama Polibio, Diodoro e Livio. Fin dal suo sorgere divenne un centro di capitale importanza perché posta in posizione strategica essendo una via di comunicazione essenziale tra il Tirreno e i centri della Sicilia interna.

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