A distanza di due secoli le gesta del leggendario brigante di Bauso,
Pasquale Bruno, continuano ancora ad accendere appassionate discussioni
sulla vera natura di questo personaggio: era un brigante romantico e difensore dei deboli e degli oppressi come narra Alexandre Dumas, padre.
oppure era il nipote di un furfante, furfante pure lui, come scrisse nel 1907 lo storiografo Francesco Nicotra sulle pagine del “Dizionario
illustrato dei Comuni siciliani”, descrivendo il comune di Bauso,
l’odierna Villafranca Tirrena.
Riuscire a districare questa matassa è pressoché impossibile; essendo
poche le fonti, comunque poco attendibili sul piano strettamente storico
Ci accontentiamo di narrare le gesta di Pasquale Bruno secondo la
versione riportata da Dumas nel suo “Pasquale Bruno o il Bandito di Val
Demona”, pubblicato in Francia nel 1839.
Una cosa, comunque, è certa: Pasquale Bruno esistette veramente. A
confermarcelo è Gaetano La Corte Cailler, che in un articolo su “L’Ora”
di Palermo, dell'ottobre del 1909, riporta gli estremi di un documento
scoperto da Luigi Natoli (l’autore de “I Beati Paoli” per intenderci), il
quale in un primo momento aveva messo in dubbio l'esistenza stessa del
brigante messinese. Secondo questo documento Pasquale Bruno nacque a
Calvaruso nel 1770 e venne giustiziato l'agosto del 1803 in piazza Marina aPalermo.
La vicenda romanzata da Dumas prende avvio dall'incontro tra Pasquale e
la contessa Gemma. Pasquale era appena arrivato a Palermo da Bauso per
potersi finalmente ricongiungere a Teresa, cameriera di Gemma. Qui viene a sapere che Teresa si sposerà presto con un servitore del principe di
Carini, governatore di Messina e amante della contessa.
Pasquale si presenta al suo cospetto per chiederle di intercedere presso il principe per entrare al suo servizio e poter, così, stare vicino a Teresa.
Gemma, sulle spine, gli chiede ripetutamente di dire il suo nome. Lui non
vuole, cerca di convincerla e di rassicurarla sulle proprie intenzioni
senza però rivelarle la propria identità. Gemma non desiste e quando
viene a sapere che si chiama Pasquale Bruno fa un salto, getta un urlo e
Pasquale scappa inseguito dal principe di Carini, che gli spara un colpo
di pistola ferendolo. Pasquale, infatti, è figlio di Antonio Bruno che
anni addietro aveva cercato di uccidere il conte di Castelnuovo, padre di
Gemma, perché questi aveva rapito e violentato la moglie. Antonio Bruno
venne ucciso e la sua testa messa in una gabbia fuori dalle mura del
castello di Bauso (l'attuale Villafranca Tirrena).
Pasquale, che era riuscito finalmente a vincere il desiderio di
vendicare il padre e la madre, pazzo di dolore uccide il promesso sposo
di Teresa, giura vendetta contro Gemma, e da quel momento si dà alla
macchia, diventando un nemico acerrimo dei ricchi e dei potenti, ai quali
ruba per dare ai poveri. Bauso, dove egli vive, e via via tutta la
Sicilia diventano teatro delle sue gesta. Unico amico Alì, un giovane
saraceno a cui Pasquale aveva salvato la vita. La sua fama cresce
rapidamente, deboli e indifesi si rivolgono a lui per ottenere giustizia
e per avere riparati i torti compiuti dai nobili. I contadini sono tutti
con lui, acciuffarlo per i militari è impossibile perché viene avvertito
subito del loro arrivo. Addirittura, c'è chi crede che lui abbia stretto
un patto per tre anni con una strega per diventare invulnerabile e avere
il dono dell’ubiquità. Credenza che lui alimenta a bella posta.
Arriva il giorno della vendetta, Gemma in viaggio per Messina si ferma in
una locanda nei pressi di Patti, per passare la notte. Qui Pasquale la
narcotizza, abusa di lei, le taglia i capelli a zero, ma non 1a uccide,
sottolineando la natura del suo essere un brigante più per necessità che
per sete di sangue e di ricchezze.
La caccia nei suoi confronti viene intensificata. Viene arrestato solo
Grazie al tradimento di un suo amico di Gesso, che Pasquale ha il tempo
di fare sbranare dal suo cane corso. Alì riesce a scappare. Pasquale non
vuole che il diletto figlio (cosi lo chiama) cada nelle mani della
giustizia. Pasquale viene rinchiuso a Messina. Gemma chiede al principe
di Carini di farlo giustiziare a Palermo. Per niente al mondo vorrebbe
perdersi lo spettacolo. Nel momento in cui il boia sta per impiccarlo la
corda si spezza e Pasquale per mettere fine a tutto s'uccide col pugnale.
Gemma è soddisfatta e mentre se ne sta chiusa nella sua stanza a gustarsi
la vendetta, viene assassinata da Alì.
A mettere Dumas sulle tracce di Bruno fu Vincenzo Bellini, in quel
momento (siamo nel 1835) a Parigi per la rappresentazione de “I Puritani". Dumas ammalatosi di colera, dovendo cambiare aria, cercava qualcuno che gli desse informazioni sulla Sicilia. Capitò a proposito
Bellini che gli parlò con calore e passione del brigante Pasquale Bruno.
«Sentite - si legge nell'introduzione del romanzo - non dimenticate di
fare una cosa quando andate da Palermo a Messina per mare o per terra.
Fermatevi al piccolo villaggio di Bauso, presso la punta del Capo Bianco;
in faccia all'Albergo troverete una via che va ascendendo
(1’attuale via Roma, ndr), dominata a destra da un piccolo
castello in forma di cittadella; alle mura di questo castello stanno
appese due gabbie, una vuota, l'altra nella quale biancheggia da
vent'anni un teschio umano. Domandate. al primo passeggero che troverete, la storia dell'uomo cui appartiene quel teschio, ed udrete uno di quei racconti completi che dipingono tutta una società, dall'abitante della
montagna al cittadino, dal contadino al gran signore».
Bellini gli fece promettere che al ritorno avrebbe scritto un libretto
ispirato alla vicenda di Pasquale Bruno. Purtroppo Dumas non potè
mantenere la promessa perché al suo ritorno a Parigi, un anno dopo,
Bellini era morto.
Dumas, sempre nell'introduzione, sostiene di essere stato così tanto
colpito dal racconto di Bellini che durante tutto il viaggio, qualunque
cosa facesse o vedesse, non pensava ad altro che al brigante Bruno.
A Bauso, l'autore de “I Tre Moschettieri” e de “Il Conte di Montecristo”,
si recò il giorno prima di lasciare la Sicilia. A fargli da cicerone il
notaio Cesare Alletto di Calvaruso, che, racconta nel suo “Viaggio in
Sicilia", gli fece visitare il castello e gli narrò i particolari della
leggenda. Dumas racconta anche di avere conosciuto un vecchio di 74 anni
che diceva che Pasquale gli aveva fatto restituire 25 once da un
prepotente. Da allora ogni anno aveva fatto dire una messa alla sua
memoria.
Un attacco diretto alla leggenda e al mito di Pasquale Bruno viene
portato dallo storiografo Francesco Nicotra. L'immagine che egli dà di
Pasqua è nettamente diversa_da_quella_romanzata da Dumas al quale non risparmia non risparmia un rimbrotto circa la storicità del suo libro, in quanto a suo giudizio (ma non stentiamo a crederlo) «i fatti in esso esposti sono, invece, un tradimento alla storia di quel bandito, il quale serbò fino
alla morte un odio profondo che lo spinse ai misfatti e lo portò al
patibolo». Nicotra, poi, nega che Pasquale e Antonio Bruno fossero padre
e figlio. Antonio, che era soprannominato Zuzza, a sentire Nicotra, fu un criminale che riuscì, per molto tempo, a sottrarsi alla giustizia «giovandosi degli antichi privilegi feudali detti dei
Marammisti» (1a Maramma del Duomo era un organo deputato alla costruzione e alla scelta dei materiali utilizzati, ndr). Poi gli
Venne teso un tranello, venne arrestato e giustiziato e la sua testa
chiusa in una gabbia di ferro che rimase a lungo appesa ai merli del
castello di Bauso.
Questa versione che riguarda Antonio Bruno ci introduce all'articolo che
Gaetano La Corte Cailler scrisse nel numero 290 de “L'Ora" di Palermo del 18 e 19 ottobre 1909, in cui lo studioso messinese azzarda l'ipotesi che
Dumas creando il personaggio di Antonio Bruno e dandolo per padre a
Pasquale lo abbia prelevato da un famoso fatto di cronaca, avvenuto nel
1816, di cui vi è traccia in alcune cronache del tempo (fra cui gli
annali di Oliva) e che riguarda una banda composta da messinesi,
calabresi e palermitani che si era data alla pirateria. Tra questi vi era
un Antonino Bruno che la Gran Corte Criminale di Palermo volle che fosse impiccato a Messina nella piazza di San Francesco di Paola, ordinando inoltre che la testa e le mani di costui venissero appesi sul torrione della Lanterna a S.Ranieri. «Che la leggenda abbia confuso ogni cosa - s'interroga La Corte - e di questo Antonino Bruno ne abbia fatto un
precursore di Pasquale, trasportando pur la testa dalla Lanterna di
Messina al castello di Bauso?».
Ma torniamo a Pasquale e al documento scoperto da Luigi Natoli, su “Il
Giornale di Sicilia”, e ripreso da La Corte Cailler. In esso si sostiene
che Pasquale dopo essere stato arrestato, nel 1803, e aver saputo di
essere stato condannato alla forca, «tentò di avvelenarsi col sublimato
corrosivo che teneva nascosto nel fazzoletto da collo. I medici -
prosegue La Corte - però gli apprestarono rimedi efficaci ed il 31 agosto
1803, alle ore 22 ed un quarto (le nostre 18, ndr), il corpo del bandito
pendeva da una forca alzata all'uopo nel Piano della Marina (ora Piazza
Marina). L'afflitto, si legge nella relazione dei confrati Bianchi,
“s’inginocchiò e baciò li piedi al carnefice, ringraziandola del
ministero che doveva su di lui esercitare”, ed in complesso “edificò il
pubblico con la compunzione e col fervore col quale il pubblico si
raccomandava l'anima”». A consegnare Pasquale alle autorità fu Carlo
Cottone, principe di Castelnuovo, feudatario di Bauso, fondatore
dell’Istituto Agrario di Palermo, che cedette il feudo nel
1819 ai Pettini.
La fama di Pasquale Bruno fu tale in Sicilia tanto che entrò in pianta
stabile nel repertorio dell’Opera dei Pupi a Palermo e a Catania. Di
questo c'è traccia nel libro di Antonino_Uccello “Copioni di briganti”.
Il pupo che rappresenta Pasquale Bruno a Palermo lo raffigura con barba,
occhi ed unghie nerissimi e trombone a tracolla, assieme al fido Alì
armato della sua scimitarra. A Catania, invece, e nei paesi vicini, la
“storia" ebbe larga diffusione, fino ai primi anni di questo secolo, come
Spettacolo dell’Òpira di Pupi” da attori in carne ossa, nei periodi in
cui gli spettacoli cavallereschi cessavano. In un copione del puparo e
attore catanese_Nino Insanguine la “storia” è costituita di “8 atti
divisi in due sere”.
Tale era il successo dei pupi che non crediamo di forzare la storia
sostenendo che Vincenzo Bellini conobbe le gesta di Pasquale Bruno
attraverso di essi e che in aggiunta abbia chiesto particolari sulla vita
del bandito allo zio Filippo Guerrera, sposato alla sorella del padre,
che abitava a Messina e col quale intrattenne sempre ottimi rapporti
epistolari.
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