Il poeta è un imbroglione incallito che dice sempre la verità. Quello che va dicendo assomiglia più a un racconto che alla realtà. Quello che va raccontando diventa realtà senza esserlo, perché certe volte la realtà non c'è nessun bisogno che sia reale. Pessoa lo definisce "fingitore". E in effetti il poeta è davvero capace d'inventarsi tutto col solo scopo di negare la realtà di cui è vittima, di rifiutare il mondo in cui è condannato alla pena capitale.
È come se il poeta dicesse sempre "Non fate a me quello che io faccio a voi". Come se lui solo avesse il diritto o le capacità di giudicare e di condannare e di inveire e, naturalmente, di autoassolversi. E invece, avviene tutto il contrario. Puntualmente, lui, nel mondo dei ragionieri, non trova posto. Anzi, i mediocri non lo sopportano. E i burocrati per di più lo prendono a calci in culo.
Prendi il dolore. Tanto per cominciare il poeta lo chiama "Nobile dolore". E lo spiega. Si tratta, chiarisce il poeta, di pene d'amor perdute che non augurerei al mio peggiore nemico. E non perché ho pietà per lui, ma perché non se le merita. Esatto. Non gli auguro questa sofferenza, perché non se la merita. Un individuo che io stimo così poco non si merita la nobiltà di un sentimento così alto. Come disse qualcuno: vi sarà sempre un po' di nobile dolore per chi ne sarà degno.
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