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La crociata digitale per salvare il villaggio... parziale

La crociata digitale per salvare il villaggio... parziale

Non era necessario che si scomodasse l’Oxford University per scoprire quanto sia marcato il “digital divide”, quel divario tecnologico che vede il 75% della popolazione mondiale (4,2 miliardi di persone) priva di un collegamento a internet. L’istituto accademico britannico ha anche disegnato una surreale mappa del globo in cui le dimensioni dei continenti e delle nazioni sono proporzionati a seconda della diffusione della rete. Ne viene fuori una cartina geografica “sgangherata” nella quale il continente africano rimpicciolisce drasticamente mentre i paesi più poveri spariscono del tutto. E se l’Europa, ovviamente, è tra le aree maggiormente connesse, l’Italia resta molto indietro (intorno al 52%).

Il pericolo che spesso si corre, scattando queste “fotografie” statistiche, è rivelare i sintomi senza riuscire a diagnosticare quale sia il “malanno”. Rischiando, per restare nella metafora, di non curare ma aggravare lo stato di salute del malcapitato “paziente”. Sono suggestivi quanto utopistici, ad esempio, i faraonici progetti di Facebook e Google che prevedono una “invasione” di palloni aerostatici o satelliti a bassa quota per regalare nelle aree disagiate del pianeta l’ingresso nel “paradiso” del cyberspazio.

Quella a cui assistiamo appare come una “crociata tecnologica” non dissimile dalle missioni a stelle e strisce per la “esportazione della democrazia” in quelle aree del mondo in cui l’anelito di libertà non ha attecchito “dal basso”, e i cromosomi della ribellione non sono ancora scritti nel Dna dei cittadini.

Condivisibili le intenzioni, discutibili i metodi. Così come non si può far radicare il seme della partecipazione popolare con i bombardamenti (emblematici a tal proposito i recenti disastri in Afghanistan e Libia), allo stesso modo è avventato portare in “dono” la Rete in luoghi dove governano regimi dittatoriali. Il rischio? Sancire un controllo indiscriminato sugli utenti celebrando il trionfo di quel “grande fratello” che incombe pure nella “evoluta” civiltà euro-atlantica. Se poi si scopre che in prima linea, dietro queste accurate analisi comparative, non c’è l’Onu ma la Banca Mondiale, anche negli osservatori più ingenui sorge il sospetto che alla base di quelle indagini non ci siano limpidi princìpi umanitari ma mere ragioni economiche.

Sintetizzando, quello che si va dipingendo a suon di bit e fibra ottica, è lo scenario grottesco di una sorta di “colonizzazione digitale” in cui c’è chi propone di distribuire frigoriferi all’equatore senza preoccuparsi se ci sia o meno l’energia elettrica.

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