La Mozilla Foundation, come riferisce la MIT Technology Review, lancia un allarme sul futuro di internet: l'apertura e la neutralità che caratterizzato il web potrebbero presto essere un lontano ricordo. Il World Wide Web Consortium, l'organizzazione che definisce gli standard di funzionamento del Web, è sul punto di prendere una decisione storica. Dovrà stabilire se promuovere le cosiddette Encrypted Media Extensions (EME), che permetterebbero ai browser di verificare (e impedire) anche le eventuali violazioni dei diritti digitali in caso di riproduzione di contenuti multimediali. In realtà, l'ultima versione "test" di Chrome 57 già prevede questo sistema di "ispezione". Una scelta che è stata da più parti definita scellerata in quanto lo standard EME, così come fin qui concepito, renderebbe impossibile analizzare il codice e, di conseguenza, scovare i bug di sicurezza.
Sui piatti della bilancia, come accade ormai sempre più spesso quando si parla di nuove tecnologie, ci sono da un lato libertà e privacy degli utenti, dall'altro gli interessi dei grandi produttori di intrattenimento digitale (e non solo).
Naturalmente i promotori del meccanismo di controllo sostengono che, grazie alle nuove estensioni, si garantirà in modo automatico la protezione anti-pirateria; gli scettici, al contrario, avvertono che il via libera da parte del Consorzio sovvertirà in modo irreversibile l'architettura “aperta” del Web.
Ma in questa disputa non si tiene conto che la navigazione online da anni non è veicolata soltanto dai "vecchi" browser. Il controllo degli EME varrà anche per Plex, Kodi o gli altri media center sempre più diffusi tra gli appassionati di musica e video? Saranno installati anche sul Tor Browser e garantiranno il copyright pure nel Deep Web?
In molti non si sono accorti che già da lungo tempo l'era delle illimitate "praterie" del Web fa parte della preistoria. Ma è anche vero che, come riconobbe "Wired" nel 2010, il Web è morto.
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