Cosa lascerà tra gli adolescenti e i giovani il buio di questa pandemia? In che modo condizionerà la personalità o la sessualità in quelle fasi fondamentali per la maturazione?
Le risposte, tra allarmi fondati o estremamente eccessivi, si moltiplicano in questi mesi. L’ultima analisi che suscita motivate preoccupazioni, è quella rilanciata dal Guardian. Un articolo dell’dizione online del quotidiano britannico, dal titolo “#MainCharacter: la pandemia porta alla ribalta l'auto-parodia di TikTok”, descrive la tendenza tra i ragazzi a “recitare” sul social network interpretando personaggi famosi e, in particolare, i protagonisti di film o serie tv.
Come rivelano gli oltre 5,2 miliardi di visualizzazioni dell'hashtag #maincharacter che inondano l’app del social network cinese, secondo diversi psicologi i lockdown e le misure restrittive hanno acuito la propensione a rappresentare una versione romanzata della propria vita.
Una grande percentuale degli utenti di TikTok (e di altre piattaforme sociali simili), privati di momenti così significativi per lo sviluppo relazionale, sembrerebbero contagiati da una sorta di "sindrome del personaggio principale": ogni loro azione è parte di una "narrazione" prestabilita, come accade in una sceneggiatura.
Dobbiamo prepararci a un “disastro sociale” nei prossimi anni? Non tutti sono così pessimisti. Questo fenomeno, in realtà, non è nuovo né di per sé esclusivamente associato ai social media. Già negli anni Sessanta, ad esempio, lo psicologo infantile David Elkind ha coniato il termine "pubblico immaginario" descrivendo gli adolescenti che credono di essere sempre al centro dell'attenzione degli altri.
Del resto, non c’è bisogno di scomodare Pirandello o Jung per ricordare come ognuno di noi spesso indossi una “maschera”, interpretando un ruolo a seconda del contesto in cui agisce o semplicemente per apparire in modo diverso compiacendo chi gli sta vicino o assecondando l’immagine in cui vorrebbe specchiarsi.
Secondo Olivia Yallop, autrice del libro “Break the Internet” e direttrice di Digital Fairy, agenzia di marketing incentrata sui giovani, #maincharacter è soltanto un'evoluzione del modo in cui la Rete già da diversi anni influisce sulle interazioni e sulla fiducia in se stessi: la “mitologia” dei personaggi principali prima è diventata virale, poi è stata veicolata da un “meme”, e poi è stata rivendicata da quel “meme”. E presto, conclude Olivia Yellop, si evolverà in qualcos'altro.
C’è chi, infine (leggiamo ancora sul Guardian), come Michael Karson, professore di psicologia presso l'Università di Denver, non considera questa “moda” come un esempio di individualismo o di insana autoesclusione, ma ne sottolinea anche gli aspetti positivi. Vedere te stesso come il “personaggio principale della tua vita”, secondo lo psicologo britannico, può stimolarti a impiegare più energia in azioni che possono permetterti una vita migliore e più gratificante. Sarà così?
Opinioni contrastanti, come spesso accade, su uno scenario non del tutto inedito, ma inquietante per l’evidente pervasività e capacità di coinvolgimento dei nuovi mezzi di comunicazione.
Che fare? La risposta non è così semplice. Ma, senza sprofondare nel catastrofismo, ci sentiamo di suggerire a chi ha a cuore lo sviluppo emotivo dei ragazzi, dalla famiglia alla scuola, di impegnarsi a creare ogni giorno nuove occasioni di confronto e connessione, non solo durante la didattica a distanza. All’alienazione e all’isolamento, in una fase cruciale della vita, i ragazzi non possono rinunciare a quegli incontri e “scontri” relazionali grazie ai quali si impara a conoscere se stessi anche attraverso lo sguardo degli altri. Uno sguardo, naturalmente, il più “diretto” possibile, anche quando sia inevitabile far ricorso a uno schermo. Mettendo da parte per qualche ora gli artifici dei social e le “maschere digitali”.
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