Alessia Pifferi partorì Diana in bagno, da sola, e la piccola trascorse il suo primo mese di vita in una stanza d’ospedale. Lo rivela il Corriere della Sera, riportando quanto riferito da un’amica di famiglia ieri agli investigatori.
In ospedale la bimba ci tornò due mesi dopo mentre la mamma era a Montecarlo con il compagno e lei, accudita dalla nonna, aveva la febbre molto alta. A Diana venne diagnosticata una patologia ai reni, legata al parto prematuro. E non si sa chi sia il papà, infatti è stata registrata dalla madre con il suo cognome. Alessia Pifferi, 36 anni, afferma di conoscerne l’identità ma «di non avergli mai detto della figlia». Lo ha ripetuto anche agli agenti della polizia, mercoledì scorso, quando la piccola è stata trovata morta nel suo lettino: «Devo avvisare il papà», aveva detto in un primo momento. Poi ci ha ripensato e agli investigatori non ha mai dato alcuna indicazione.
Di fronte all’alternativa di far funzionare la relazione col compagno o di accudire sua figlia di un anno e mezzo, lasciata sola in casa per 6 giorni, ha scelto la prima, sapendo benissimo che poteva morire. L’ha confessato lei stessa e sta in questa decisione, frutto di una «personalità non equilibrata», la «principale motivazione» che ha spinto Alessia Pifferi abituata a mentire ai familiari e alle persone vicine, ad abbandonare Diana, morta di stenti. Un fatto orribile che il gip di Milano Fabrizio Filice, disponendo con ordinanza il carcere per la donna, qualifica come omicidio volontario, come aveva chiesto il pm Francesco De Tommasi, ricalibrando solo alcuni aspetti giuridici.
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