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Edwige Fenech torna al cinema con Pupi Avati: i film sexy di gioventù? Li rifarei

«Certo che li rifarei, grazie a quelle pellicole sono diventata famosa e sono qui oggi». Così Edwige Fenech tornata al cinema con la regia di Pupi Avati nella Quattordicesima domenica del Tempo Ordinario in sala dal 4 maggio, ospite in studio a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1.

E' vero che la cosa che le dava più fastidio dei film della sua gioventù erano i titoli?

«Sì, e il peggiore era Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda tutta calda».

Oggi ha lo stesso giudizio su quelle pellicole?

«Ai tempi non andavo neanche a vederli per via dei titoli. Poi grazie ad una recensione di Walter Veltroni, che scrisse che il mio personaggio nell’Ubalda era alla Truffaut, mi convinsi a vederlo in tv e devo dire che aveva ragione: oggi gli darei un otto e mezzo come voto». Un numero che inevitabilmente evoca Federico Fellini, «che mi chiamava l’Ubaldina - ha spiegato la Fenech -, per il maestro dovevo fare il personaggio di Gradisca, e per due mesi andai a Cinecittà da lui e a pranzo a casa sua».

Cosa accadde in quelle occasioni?

«Ad ogni pranzo Fellini mi prendeva la mano destra, in modo affettuoso e mi diceva: ma non mangia? Io non toccavo nulla, non potevo muovere la mano ed ero timidissima. Così Fellini diceva alla cuoca, che si chiamava Ubalda: 'fai mangiare l’Ubaldina, prepara qualcosa che le piacè».

Lei però ha lavorato con molti dei più grandi attori del nostro Paese, primo tra tutti Ugo Tognazzi. Oltre all’aspetto professionale, cosa si ricorda di lui?

«Un aneddoto. Ugo cucinava benissimo tutti i tipi di pasta. Mi ricordo che faceva spesso la pasta con le barbabietole: era viola, bella da vedere, ma diciamo mediamente buona».

Ha lavorato anche con Alberto Sordi.

«Sì - ha raccontato l’attrice - e rimasi impressionata perché pensavo che il suo gioco con la "gambetta" fosse inventato solo per il cinema, invece anche nella vita aveva questo atteggiamento».

Più recentemente ha conosciuto Quentin Tarantino, che ha voluto incontrarla.

«Lo incontrai al festival di Venezia, mi dissero che voleva conoscermi e all’inizio non ci volevo credere e risposi: "lasciatemi perdere". Poi ci andai a cena e scoprì che era un cultore dei gialli e dei thriller italiani anni Settanta, e gli piacevano molto quelli in cui recitavo».

Cosa le chiese?

«Di recitare con un ruolo importante in un film che produceva e io gli dissi, ok ma vengo solo per un giorno».

Come mai?

«Ero delusa da come si era conclusa la mia carriera da attrice. Invece poi ci sono andata e siamo stati tutti felici. Il film era "Hostel 2", prodotto da Quentin e diretto da Eli Roth, che ora è diventato un regista famosissimo. Sono felice di averci lavorato e se ora mi chiedesse di fare un film con lui direi subito di sì».

Ha conosciuto i più grandi del cinema di ieri e di oggi. Eppure si dice lei che da giovane fosse timidissima.

«Si, ero tremendamente timida e senza un briciolo di fiducia in me stessa, fiducia che poi ho trovato da sola molto tardi. Non a caso a trent'anni smisi di mettermi in costume: quando sei famosa la gente ti studia».

La storia più lunga della sua vita l’ha avuta con Luca Cordero di Montezemolo.

«Con Luca è durata 18 anni, oggi siamo più che amici, siamo una famiglia». A quell'epoca lei venne accusata di fare Sanremo e Domenica In grazie all’influenza del suo compagno. «Voglio sfatare questo mito: Luca non conosceva assolutamente nessuno in Rai all’epoca, figuratevi che ai tempi lavorava alla Cinzano in Svizzera. E io non avevo bisogno di esser raccomandata, ero famosissima».

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