La musica è immagine. E le immagini suonano. È un assunto che nel cinema sa di dogma. Vedi una scena e ti resta la sua armonia, si incide nella memoria, imprime il carattere. Diventa ricordo. Quante volte, guardato un film, si intrappola nella testa una sequenza di note, da richiamare per non dimenticare. Ecco, è la magia delle colonne sonore. Che danno ritmo ai volti, che sottolineano le parole, che fanno la regia delle atmosfere. La storia della pellicola ne è piena, a ciascuno la sua. Ma qualcuna, qualcuna più di altre si intrufola nella mente e ci rimane, come un disco che in qualsiasi luogo, in ogni momento, parte e richiama. E risuona. E tutto torna, l'ordito e la trama si intrecciano, la chimica s'innesca e ti ritrovi lì, come se non te ne fossi mai andato. Dire che quelle che seguono sono le più belle non si può, sarebbe presuntuoso e pretestuoso. Perché ogni essere ha il suo modo. Le colonne di questa playlist sono semplicemente vertebrali, come lo sono (in qualche caso lo sono stati) gli autori che le hanno messe al mondo, che al mondo le hanno regalate.
Canone inverso, Ennio Morricone. Non la sua più celebre, col Maestro la scelta imbarazza, per quantità e bellezza. Forse la più lineare, senza trucco e senza inganno. Un canone, antologicamente e ontologicamente. Una melodia che insegue se stessa, una sequenza che evolve senza effetti, evocatrice e sintetica. Quasi una canzone, ma di quelle con intrecci vocali che salgono sempre e non finiscono mai.
Romeo & Juliet, Nino Rota. La musa di Fellini, nell’opera di Zeffirelli. Il soggetto chi non lo conosce? Il tema della sound track è shakespeariano, fatto di quel romanticismo tragico che passa dal minore al maggiore come i sentimenti di chi li prova.
La vita è bella, Nicola Piovani. Ma non Beautiful the way, piuttosto Buongiorno principessa. La sorella minore, massima espressione dell'anima che si lascia andare, che in scatti di piano e riscatti di forte dipinge il sogno che nessun orrore può spezzare.
Schindler list, John Williams. Il "Film" sull'olocausto. Un violino che piange, una cantilena ondivaga, spezzata. E tutta la drammaticità, tutto il dolore, tutta la fatica, tutta l'invenzione, tutta la complessità della storia.
L'ultima neve di primavera, Fusto Papetti. Il contrappasso, il contrappeso sognante di una vicenda struggente.
Il tè nel deserto, Ryuichi Sakamoto. Bertolucci l’ha voluta e ottenuta iconica, nulla da aggiungere.
Forrest Gump, Alan Silvestri. La suite, dentro una lunga lista di artisti che hanno contribuito al suono della storia (che è diventata un album), è un incantesimo. Il ritratto melodico del protagonista, fiabesco, soprannaturale.
La matassa, Paolo Buonvino. Commissionata da Ficarra e Picone, Come fratelli è l’evoluzione di un rapporto armonico, nel suo crescendo.
Lezioni di piano, Michael Nyman. Un altro mito del genere. Un pianoforte che naviga su una spiaggia deserta, affollata di tasti, dentro una barca a coda nera. “C’è un grande silenzio dove non c’è mai stato suono, c’è un grande silenzio dove suono non può esserci, nella fredda tomba, nel profondo mare” (Thomas Hodd, Silence)
L'ultimo bacio, Carmen Consoli. Mille violini suonati dal vento.
Due outside. Non originali, composte e prestate a due capolavori di Stanley Kubrik:
Wagner (La cavalcata delle Valchirie) di Apocalipse Now
E Shostakovic (Waltz n.2) di Eyes Wide Shut
Caricamento commenti
Commenta la notizia