Una granita fragola e panna con brioche, il modo perfetto – sicuramente il più dolce – per dare il bentornato a Messina al regista Nanni Moretti, impegnato in un minitour sull’isola per promuovere l’uscita in sala del suo ultimo film, “Tre piani”, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo (edito da Neri Pozza), un film concentrato sui tre piani di una palazzina nel quartiere Prati a Roma, fra colpa, rimozione e desiderio. «Abbiamo scritto un film che indaga sulla paura, sul rapporto con l’Altro – afferma il regista alla Gazzetta – . Ci avevano detto che potevamo vivere tranquillamente in casa, chiudendo fuori il mondo ma la pandemia ha dimostrato che non è vero. Abbiamo bisogno della comunità per sopravvivere».
Dopo aver presentato “Santiago, Italia” nell’aprile 2019, il regista ieri pomeriggio è tornato a Messina, partecipando ad un vivace dibattito con il pubblico che aveva appena finito di assistere alla proiezione del suo ultimo film – già in concorso al Festival di Cannes – nella Multisala Apollo. Un prestigioso evento a cura dell’associazione “ApolloSpazioArte” dell’imprenditrice messinese Loredana Polizzi (e oggi il regista sarà a Palermo, al cinema Rouge et Noir, per gli spettacoli delle 17 e delle 20:30).
Qualche giorno fa proprio alla Gazzetta Eshkol Nevo ha dichiarato che il suo regalo più grande era il fatto che lei avesse scelto un suo libro per farne un film. Cosa l’ha colpita di quelle pagine?
«Non era facile immaginare un adattamento cinematografico perché si tratta di tre monologhi, un uomo che parla al suo amico al ristorante, una donna che scrive alla sua migliore amica e la giudice che parla alla segreteria telefonica, ma grazie alle mie sceneggiatrici, Federica Pontremoli e Valia Santella, siamo riusciti a farlo. “Tre piani” parla di temi universali, la difficoltà dell’essere genitori, affrontando il tema della colpa e delle conseguenze dirette delle nostre azioni».
È la prima volta che parte da un romanzo.
«Sì, è vero, ma non mi sento sminuito come autore. Leggendolo, ho sentito che mi riguardava, così è cominciato questo viaggio durato sedici settimane sul set».
La pandemia ci ha smascherato?
«Lo penso davvero, non possiamo rinchiuderci in casa, non possiamo fare a meno degli altri. Il film è stato fermo per un anno, volutamente, ma oggi è ancor più attuale».
Ha scelto di ritardare l’uscita?
«Durante la pandemia altri colleghi hanno scelto di vendere i propri film alle piattaforme ma io credo nel cinema e finché ci saranno le sale continuerò a fare film per il pubblico (fragoroso applauso dal pubblico presente, ndr). Tengo a dire che anche io guardo le serie, non le considero il male assoluto, ma “Tre Piani” è nato pensando alla sala e, del resto, sono anch’io un esercente visto che il primo novembre la mia Sala Sacher, a Roma, compirà trent’anni».
Non chiude la porta alla tv?
«Charles Bukowski diceva che la prima cosa scritta è quella giusta, al contrario io penso che bisogna tentare e ritentare perché la prima idea è spesso sbagliata; ma le produzioni televisive spesso hanno dei tempi di lavorazione velocissimi che confliggono con la mia metodica di lavoro. Semmai, il problema è quando le piattaforme impongono una visione del mondo standardizzata, buona per tutto il mondo e le età, cercando di costruire un prodotto pensando esclusivamente al target commerciale».
Gli altri continuano a farci paura?
«Non siamo tutti uguali, per fortuna. I personaggi maschili noi li abbiamo raccontati come inchiodati ed ostili, invece quelli femminili cercano di ricucire e sciogliere i conflitti, dando spazio all’altro perché accogliere e non avere paura è una necessità della vita privata ma anche di quella pubblica. Un cambio di prospettiva che si rivela necessario, oggi più che mai».
Parliamo del cast?
«Volentieri. Questo è il quarto film di seguito con Margherita Buy che è stata la mia prima scelta per il suo ruolo. Non ha fatto alcun provino, non era necessario, sapevo che sarebbe stata perfetta nei panni della giudice. Margherita è sempre allegra e disponibile, un’ottima compagna di lavoro che non molla mai. Riccardo Scamarcio ha fatto i provini, come tutti, ma ammetto che mi aveva convinto in “Euforia”, mentre Alba Rohrwacher la prendevo sempre in giro perché ogni volta che recita o prende un premio finisce per piangere. Ne abbiamo riso ma poi, montando il film, ho scelto proprio il ciak in cui le scappa una lacrima. Era imprevista e mi è sembrata bellissima».
Nevo ha detto che lei ha scelto di interpretare il personaggio più difficile. C’è qualcosa di autobiografico?
«C’è qualcosa di me in tutti i miei film, inevitabilmente accade scegliendo la prospettiva per raccontare la storia».
Il sentimento che predomina il film è la paura?
«Non è il solo ma certamente la paura c’è. È un racconto sul modo di essere genitori, sbagliando, inevitabilmente. Avrete notato che i miei film sono sempre pieni di psicanalisti e psichiatri, mi piace camminare sempre sul limite, sul filo del rasoio e non mi spaventa raccontare il disagio mentale, il rischio di perdersi».
Il suo prossimo film sarà a Messina?
«In ogni città – sorride – mi chiedono di girare un film. A Pordenone, a Trieste magari a Palermo. Ma qui ci sono andato vicino visto che il capitolo centrale di “Caro Diario” si svolge alle Eolie e l’apertura de “La Cosa” è girata a Francavilla di Sicilia. Ma il prossimo film lo girerò a Roma».
C’è una scena emblematica: una milonga, con un furgone e un’orchestrina, chiamando a raccolta gli attori. Una speranza?
«Questa scena non è presente nel libro ma l’abbiamo voluta come un richiamo del mondo esterno che è molto più vasto delle palazzine, un invito alla vita, ad aprirci al mondo. Una speranza necessaria, un lancio verso il futuro».
A Cannes ha detto che i suoi film sono tutti capitoli diversi dello stesso romanzo. Che titolo aveva in mente?
Nanni Moretti rimane assorto, ci pensa su e poi afferma: «Il titolo c’è già. Caro Diario».
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