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Baudo: Monica Vitti era unica. Amava parlare in siciliano dopo gli 8 anni trascorsi a Messina

«Io ho avuto l"onore di conoscerla bene, di esserle amico, parliamo di una donna eccezionale». Sono le prime parole di Pippo Baudo che, in un’intervista all’Agi, ricorda l’attrice Monica Vitti, morta a 90 anni dopo una lunga malattia.
«Era speciale: comica, autoironica e capace di fare tutto. Basti pensare a "Polvere di Stelle" con Sordi. Avevamo un rapporto affettuoso - ricorda - abbiamo fatto "Canzonissima" insieme e le piaceva parlare in dialetto siciliano per giocare, perché era originaria di Messina». Negli ultimi anni però il presentatore e l’attrice si erano persi di vista. «Il suo uomo l’ha tenuta isolata, perchè era malata di Alzheimer - racconta Baudo - non la sentivo da qualche anno, ma sono veramente giù per questa morte. Si è spenta una grande artista».

Monica Vitti, il cui vero nome era Maria Luisa Ceciarelli, detta Marisa, figlia di Angelo e di Adele, era nata a Roma il 3 novembre del 1931, ma  inizia a fare teatro sotto i bombardamenti, proprio a Messina. Perché il papà Angelo faceva l’Ispettore del Commercio Estero e dalla Capitale era stato trasferito per otto anni nella città dello Stretto, dove l'attrice, insieme con i suoi due fratelli maggiori, Franco e Giorgio, durante lo sgancio delle bombe, sdrammatizzava le ore di tensione mettendo in scena tra le mura domestiche piccoli spettacoli animati da burattini.

Da piccola in Sicilia mi chiamavano Sette Sottane

«Da piccola mi chiamavano Sette Sottane, perchè in Sicilia, dove vivevamo noi, non c'era il riscaldamento d’inverno e mia madre mi copriva di maglie, magliette, sottanine, vestitini e grembiulini. Non mi davano noia, anzi, ne ero orgogliosa e quando veniva qualcuno a trovarci, dicevo: 'Vede, io ho sette sottane: una, due, tre, quattro...' mia madre non mi faceva mai arrivare alla settima perchè diceva che era una vergogna tirarsi su le gonnelline (Sette sottane, Un’autobiografia involontaria di Monica Vitti, Sperling & Kupfer Editori). C'è molta Sicilia nella vita nella carriera di Monica Vitti, la "ragazza con la pistola" che trascorse otto anni della propria infanzia a Messina. Nella città dello Stretto Maria Luisa Ceciarelli (il suo nome all’anagrafe) era giunta insieme con la famiglia, lì trasferita per via del lavoro del padre, ispettore del Commercio estero. Poi la famiglia tornò a Roma, ma non senza aver lasciato ricordi indelebili nella memoria dell’attrice, che nel 1968 interpretò le ansie e le contraddizioni della donna siciliana sotto la direzione di Mario Monicelli, il quale seppe cogliere e sfruttare la sua straordinaria verve tragicomica. Monica Vitti diventò Assunta Patanè, sedotta da Vincenzo Macaluso e in cerca di vendetta per difendere il proprio onore.

Il grande regista e la grande "mattatrice" del cinema italiano misero d’accordo pubblico e critica, entrambi entusiasti. «La Sicilia - scrisse Stefano Della Casa in "Mario Monicelli", Il Castoro Cinema - sta sullo sfondo della vicenda, nel prologo e nei flash-back che appaiono ad Assunta tutte le volte che sta per fare fuoco. L’altra tematica forte del film è il viaggio, che si configura per la siciliana dapprima come una discesa agli inferi e successivamente come l’emancipazione dai costumi retrivi e come la certezza che proviene dall’avere finalmente fiducia in se stessa». «...Ma il pregio maggiore di Monicelli - sottolineò Suso Cecchi D’Amico in un articolo su Gente - è quello di aver costruito una donna, Assunta, con squisita sensibilità, grazie soprattutto a Monica Vitti. Monica, interprete di rara efficacia, ha giocato con questo personaggio con una tale disinvoltura, usando tutte le corde possibili per renderlo vivo, vero, palpitante. Non da meno Carlo Giuffrè, nella parte di Vincenzo Macaluso, un siciliano altezzoso e protervo».

«Il film - affermò Gian Luigi Rondi su Il Tempo - è sostenuto dal principio alla fine dall’interpretazione di Monica Vitti, a buon diritto premiata di recente al Festival di San Sebastiano proprio per questa sua fatica e per la sicurezza e il talento con cui ha sapientemente dominato il suo personaggio, quasi al di fuori del testo, reggendosi sempre in gustoso equilibrio tra la beffa e l’ironia, giostrando senza timore con il vernacolo siciliano e non lesinando mai allegria ed impegno anche drammatico: con vivacissimo calore».  Le tre recensioni sono state tratte dall’archivio film Rosebud della Rete civica del Comune di Reggio Emilia.

Otto anni prima era stata ancora la Sicilia, con le sue isole minori, a rivelarla al pubblico e alla critica: Michelangelo Antonioni la scelse per L’Avventura a Lisca Bianca, ambientato nell’isolotto deserto presso Panarea, nelle Eolie, dove Monica Viti recita la parte di una tormentata Claudia nel film che costituisce il primo capitolo della trilogia sul tema dell’incomunicabilità. «Era ormai la fine di settembre - racconta ancora l’attrice in Sette sottane, Un’autobiografia involontaria, Sperling & Kupfer Editori - Un giorno le nuvole diventarono più basse e nere e scoppiò una tempesta che sembrava volesse portar via anche Lisca Bianca. L’acqua da bere e i cestini (termine cinematografico per dire colazione in un sacchetto di carta) non arrivarono. Il mare non lo permetteva. Eravamo affamati, assetati e senza riparo. La barca fece l’ultimo viaggio per riportare la troupe a Panarea e non potè tornare a riprenderci.

Michelangelo era rimasto per ultimo, come un vero capitano, e io con lui, come un vero mozzo... Finalmente, all’orizzonte, una barca come quella di Caronte veniva verso l’isola. Al timone c'era un uomo così piccolo che quasi non si vedeva. Forse perchè ero senza occhiali, ah, sì, erano finiti in acqua. Quando non porto gli occhiali, non soltanto non vedo quasi nulla, ma perdo l’orientamento. Le voci diventano lontane: penso che improvvisamente siano tutti andati via e mi abbiano lasciata sola. La barca del miracolo ci portò a Lipari, perchè il mare era meno spaventoso che verso Panarea. Il vecchio marinaio l’affrontò onda per onda, come in un duello, un corpo a corpo. Noi eravamo schiacciati al centro della barca, aggrappati al piccolo albero maestro per non essere sbattuti in acqua. Le onde ci superavano e uscivano dall’altra parte. Arrivammo miracolosamente al porto di Lipari, dove ci aspettavano vecchi pescatori (chissà perché li ricordo vecchi) e qualche donna in nero». «La barca che utilizzarono per tutte le riprese - racconta all’AGI Pino La Greca, abitante e profondo conoscitore delle Eolie - era di mio nonno e dunque la mia famiglia aveva una certa familiarità con il regista e con gli attori e gli operatori. Quell'evento evento segnò i ricordi dei miei zii, in qualche modo ho voluto nei miei racconti fare un omaggio: grazie a Monica Vitti, ad Anna Magnani e a Ingrid Bergman le Eolie sono una località turistica nota a livello internazinale».

«Durante le riprese - prosegue La Greca - ci fu una piccola tromba marina che si dirigeva verso Lisca Bianca, il regista cercò di farla inquadrare ma Monica Vitti era terrorizzata. Mio zio fece una sorta di rito di fronte a lei, pronunciando delle parole, e la tromba marina, proprio in quel momento, cessò. L’unico che ci rimase male fu Antonioni, che rimproverò mio zio. Lei, invece, si era rasserenata».
Scenario naturale per un’attrice, la Sicilia per Monica Vitti è rimasta sullo sfondo del ricordo: «Eppure - scrive nella sua autobiografia - prima di dormire, ancora oggi mi tornano in mente la lunga spiaggia bianca di Messina, completamente vuota, le ondine dolci che lasciano il segno sulla riva e l’unico ombrellone, dove mia madre vestita di bianco, con un grande leggero cappello di paglia, si riparava dal sole».

 

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