«Arrivai di mattina presto nell’aula dell’Ucciardone, con il mio block notes e una serie di matite e pennarelli, per realizzare le illustrazioni che sarebbero state pubblicate nella rubrica «cronache dal bunker», ascoltavo con attenzione e osservavo, direi minuto per minuto, ogni momento della fasi di quell'evento storico».
Quel 10 febbraio di 35 anni fa è rimasto impresso nella memoria di Franco Donarelli, disegnatore di lungo corso. "La redazione de L’Ora mi aveva accreditato per presenziare alla celebrazione del maxiprocesso che il pool di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino aveva istruito con 475 imputati portati a giudizio. Lo scopo era quello di raffigurare all’americana, i volti dei personaggi che sfilavano davanti alla Corte. - racconta - Ma, invece di fare ritratti, scelsi di cogliere gli aspetti grotteschi di quell'ambiente e disegnai soprattutto tavole satiriche - anche complesse - per descrivere quello che davvero vedevo, con un atteggiamento un po' disincantato».
Tra queste rimane indelebile lo schizzo divenuto famoso di Tommaso Buscetta a cui Contorno bacia la mano e il titolo di apertura del giornale «Totuccio puoi parlare». «Immaginai quel loro incontro,- dice Donarelli - al quale ovviamente non ho assistito, per realizzare quell'illustrazione in prima pagina che mi fu commissionata con insistenza dall’allora direttore Bruno Carbone; fu una delle poche creazioni che al di là delle altre rappresentazioni satiriche, tentò di raccontare in modo veritiero quello scorcio privato». «Quando poi ho visto il recente film "Il traditore" del 2019, diretto da Marco Bellocchio con Pierfrancesco Favino, abbastanza fedele a quella realtà cui ebbi modo di assistere in diretta, ho rivissuto quei momenti. - osserva - E ricordo che, entrando nell’aula, che fu descritta come l’astronave della giustizia, per la prima volta, nel vedere tutte quelle persone dietro le sbarre, provai un senso di inquietudine».
Scava nei ricordi e poi dopo una pausa afferma: «osservai a lungo gli imputati, finalmente li vedevo. Gente comune, anche banale, simile a tante persone che incontravo per strada, che non avrei distinto da altre. Poi mi abituai e pensai a una specie di giardino zoologico per via delle gabbie. La mia attenzione cadde anche sugli avvocati. Con quelle mille formule nell’usare pieghe del codice penale, aspetti formali, per esercitare una difesa che dentro di me sentivo impossibile, pur temendone gli effetti verso un successo che avrebbe vanificato il desiderio di giustizia che attendevamo da tempo».
Già ma che clima si viveva in quel periodo a Palermo? Stava germogliando la speranza che Cosa nostra venisse sconfitta o si pensava che quel processo non avrebbe portato a nulla? «L'atmosfera in città aveva qualcosa di nuovo, uno stato febbrile, un risveglio. risponde - Ero io che credevo di percepirlo? Era vero? C'era attesa, incredibile che tutti costoro fossero finalmente mandati a processo. Ma non immaginavo come sarebbe finita, o continuata. Oggi lo so». Ma in ogni caso, precisa nei mie lavori: «quando racconta vicende di mafia non ho mai usato una comunicazione ambigua e offensiva nei confronti delle vittime della lotta ai boss».
Caricamento commenti
Commenta la notizia