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Giovanna Pancheri, l'inviata che racconta l'America col cuore in Calabria

Volto noto della tv, inviata per Sky Tg24 in America, la giornalista Giovanna Pancheri in questi anni dall’altra parte dell’oceano ha raccontato in presa diretta l’evolversi della società, la presidenza Trump e, oggi, la difficile transizione verso la presidenza Biden-Harris.  Romana, classe 1980, dopo gli anni trascorsi a Bruxelles davanti alla telecamera, anziché fermarsi alla narrazione mainstream delle metropoli - che ci fanno sognare e popolano la nostra fantasia grazie alle produzioni hollywoodiane - ha scelto un reportage per raccontare l’America meno nota, viaggiando nella provincia, raccogliendo testimonianze anche molto forti – come le migliaia di persone senza assistenza sanitaria o i leader dei movimenti suprematisti bianchi – e in “Rinascita Americana. La nazione di Donald Trump e la sfida di Joe Biden” (SEM libri) compone un controcanto avvincente e straniante, a tratti volutamente distopico, di un paese che guida l’Occidente, celando zone d’ombra in piena luce. La raggiungiamo al telefono durante i suoi ultimi giorni in Italia prima di volare negli States e lei rivendica le sue origini: «Mio padre è trentino, mia madre è di Albi, nella Sila piccola, ogni anno faccio di tutto per godermi uno scorcio d’estate calabrese».

L’America che racconti ti ha sorpresa?
«Assolutamente. Conoscevo gli Stati Uniti ma ero legata all’idea di un Paese come emblema assoluto del progresso. Ma negli anni questa visione si è arricchita di sfumature. La vittoria di Trump ha fatto affiorare chiaramente un’altra parte di questa nazione che andava narrata con grande attenzione».

Il titolo può sembrare fuorviante richiamando il concetto di rinascita. Una scelta voluta?
«Sì. La rinascita degli Stati Uniti non passa esclusivamente dalla vittoria di Joe Biden ma nel richiamo ai valori di Abraham Lincoln che dopo la sanguinosa vittoria di Gettysburg, in un breve discorso (pronunciato il 19 novembre 1863, ndr) e divenuto celebre, richiamò i valori dell’unità come fondativi della nazione». 

È “l’effetto Trump”?
«Quando vinse le elezioni, in effetti, poteva dare l’impressione di una rinascita. Era diverso da tutti gli altri candidati, lontano dagli schieramenti. Ma non c’è stata alcuna rinascita e oggi, dopo questi quattro anni così divisivi, è necessario ricompattare il Paese».

Il 6 gennaio scorso c’è stato l’assalto al Congresso con l’irruzione di una folla inferocita aizzata dalla propaganda via  social. Il Paese è ancora spaccato su questo?
«Oggi la maggior parte degli americani condanna quei fatti. Ma per quanto riguarda la responsabilità diretta di Trump il Paese è ancora diviso. Tuttavia, non dimentichiamo che al momento di lasciare la Casa Bianca aveva il più basso tasso di consensi mai registrato».

 Unico caso nella storia, per la seconda volta Trump è in stato d’accusa. Come andrà a finire questo impeachment?
«L’entourage di Joe Biden che vorrebbe normalizzare il Paese, non ha gradito che questi quattro anni comincino così. Ma l’establishment del partito repubblicano vorrebbe smarcarsi, mettere una distanza con le ali più estreme davanti al fallimento della campagna elettorale. Non dimentichiamo che Trump è il primo presidenza che perde sia la rielezione che la camera del Senato. I repubblicani ne escono ammaccati, oggi non comandano più nulla, urge un netto segnale di cambiamento. Ma al momento i numeri per la condanna non ci sono».

Hai raccolto numerosissime testimonianze. Cosa ti ha sconvolto maggiormente, il racconto di chi è senza assistenza sanitaria o l’incontro con i leader dei movimenti suprematisti?
«Entrambi, senza dubbio, pur se in modo differente. Sono in completa contraddizione con il nostro ideale di sogno americano, purtroppo. La sanità americana, ancora di più dopo la pandemia, deve essere ripensata e l’arrivo di Biden sarà un passo avanti; del resto, davanti al Covid la maggioranza degli americani si è espressa per un maggiore intervento dello Stato anche in questo ambito, una grossa novità. L’accesso alle cure, la maggiore mortalità delle minoranze e il costo dei vaccini oggi più che mai sono sotto gli occhi di tutti. Una chance per l’amministrazione Biden».

 E per quanto riguarda i suprematisti?
«Sconvolge la serenità con cui affermano tesi razziste, richiamandosi alla tutela del primo emendamento e alla libertà di parola. Ma i drammatici fatti del 6 gennaio chiariscono che la propaganda è un tema molto serio se dalle dichiarazioni si passa ai fatti».

 A proposito dei social, la cancellazione perenne dell’account di Trump da Twitter ti piace?
«Un gesto era necessario. Bannare Trump chiarisce, tardivamente, che i social media sono responsabili dei contenuti, uscendo da una impasse che durava da troppo. Ma ciò apre un’altra questione: vogliamo davvero che gli ad di Twitter e Facebook decidano per tutti noi chi possa o meno esprimersi sui social? Non sarebbe meglio intervenire e regolamentare questo ambito? Io propendo per quest’ultima opzione e sarà un tema cruciale di questo tempo».

Cosa si aspetta l’America da Biden?
«Una presidenza che possa normalizzare il Paese. Gli americani sono molto stanchi, è stato un anno complicato fra la pandemia e una campagna elettorale così divisiva. Biden non è un grande oratore, un classico condottiero, piuttosto una figura rassicurante che potrebbe rimettere a posto le cose».

Hai la sensazione che la Vice presidente Kamala Harris sia al centro dell’azione?
«Proprio così. Nell’agenda presidenziale è palese che la VP sia coinvolta per volontà di Biden. Sembra quasi che ci sia il desiderio di prepararla al futuro e avrà un ruolo molto più incisivo della tradizione».

Giovanna, rispetto all’Italia che tipo di relazioni diplomatiche imposterà quest’Amministrazione con il nostro Paese?
«Durante l’amministrazione Trump, in questi anni, si era creata una buona intesa con l’Italia. Abbiamo ricevuto dagli Stati Uniti aiuti concreti – economici e di mezzi – per far fronte alla pandemia e, pur se con nuovi attori, credo che le premesse per il futuro siano ottime».

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