Commercianti protestano a Roma: "L'Italia a colori ci ha lasciato in mutande". C'è anche Messina
Per ora sono alcune centinaia i commercianti che stanno partecipando al sit in al Circo Massimo "Una volta, per tutti" organizzato dalle associazioni: Roma più bella, Ihn (Italian hospitality network), Tni Italia (Tutela nazionale imprese) e Lupe Roma. I primi ad arrivare sono stati i ristoratori maremmani che hanno appeso ad un filo mutande rotte, arancioni e gialle con accanto scritto: «L'Italia a colori ci ha lasciato in mutande ma ora basta». I partecipanti sono in attesa dei tanti pullman previsti da molte regioni italiane. Per ora sono arrivati dalla Sicilia, da Enna, Piombino e Crema. Ci sono rappresentanti delle lavanderie industriali, di chef e cuochi che indossano il tradizionale cappello da cucina. C'è anche il movimento artisti italiani proveniente dalla Toscana. I loro slogan, ripetuti ritmicamente, sono «Lavoro, lavoro» e "Riapertura, riapertura". «Oggi diciamo, con civiltà ma anche grande fermezza, che "Vogliamo futuro". Avere un futuro significa disporre di misure emergenziali adeguate, precisando innanzitutto che una cosa è aver perso fatturato per fatti contingenti, ben altra cosa è averlo perso perché obbligati a chiudere. Ma soprattutto per noi avere un futuro significa poter lavorare. Significa poter riaprire: in sicurezza, con i dovuti controlli, nel rispetto della delicatezza della situazione. Ma subito e senza un’estenuante dilazione dei tempi e un "apri e chiudi " che confonde ed esaspera le tensioni sociali». Questo il messaggio lanciato da Fipe-Confcommercio, durante la sua assemblea straordinaria in Piazza San Silvestro a Roma, alla quale hanno partecipato i rappresentanti di ristoratori, baristi, operatori dei catering, gestori di discoteche, sale del gioco, stabilimenti balneari, in collegamento con altre piazze d’Italia dove si sono svolte analoghe iniziative, nel rispetto delle misure anti-Covid. «E' essenziale - sottolinea Fipe - che il governo si doti parallelamente di un piano preciso di riaperture, a cominciare dagli esercizi che hanno la possibilità di effettuare il servizio al tavolo, anche favorendo l’utilizzo degli spazi esterni, e che fondi la propria efficacia su protocolli di sicurezza rigorosi e controlli adeguati». La Fipe si dice pronta «a riprendere il lavoro con il ministero dello Sviluppo economico e il Cts, per definire le misure che andranno applicate in ogni situazione». Gli esercenti, intanto, sono in piazza in 21 città italiane, da Firenze a Napoli e Genova, in contemporanea con l’assemblea straordinaria della Fipe-Confcommercio convocata in piazza San Silvestro, a Roma. «Siamo qui per chiedere di poterci rialzare. - afferma Alessandro Cavo, giovane esercente, collegato da Genova -. Chiediamo una data per iniziare a risollevarci, troppi colleghi sono caduti, troppo i ristori promessi che non sono arrivati». «Lavoravo dalle 18 a notte fonda, da quando ci hanno chiuso ho fatturato il 20%, i miei dipendenti sono in cassa integrazione, prendono una miseria e la prendono anche tardi, ho provato a sostenerli il più possibile, ma ora è diventato difficile anche per me - dice Matteo Musacchi, presidente dei giovani imprenditori della Fipe, titolare di un ristorante e cocktail-bar a Ferrara -. Oltre al fatto che stare in casa senza far nulla, per chi è abituato a lavorare 15 ore al giorno porta via di testa». Dal palco di Roma poco prima aveva incalzato il governo, ricordando che «ieri i pub hanno riaperto e gliel'hanno detto un mese prima». «Non ho bisogno - aggiunge - della rassicurazione "stiamo per programmare le aperture", ho bisogno di sapere quando riapro». Secondo la Fipe 30mila imprese hanno chiuso nel 2020, altrettante potrebbero chiudere quest’anno. «Noi donne durante l'emergenza non ci siamo fermate un attimo, e ora siamo cariche per riaprire», dice Valentina Piccabianchi imprenditrice nel campo del catering. "Il nostro settore - ricorda, Maurizio Pasca, imprenditore pugliese dell’intrattenimento e presidente Silb - è chiuso ininterrottamente da 14 mesi, dal 23 febbraio dello scorso anno, tranne quella piccola parentesi per i locali all’aperto che hanno potuto riaprire d’estate. Il 30% ha chiuso definitivamente, un ulteriore 40% è destinato a chiudere se non si riapre quest’estate. Il nostro settore è criminalizzato, siamo indicati come gli untori della pandemia, ma abbiamo chiuso il 17 agosto e i contagi sono iniziati a risalire a ottobre. Non capiamo i pregiudizi nei confronti di un settore che serve a socializzare e che vale 2 miliardi all’anno».