Anfore e brocche ma anche un gran quantità di coppe da vino in ceramica fine destinate alla tavola delle élites, ancora impilate e «imballate» all’interno di grossi vasi usati per proteggerle dal rischio di incidenti durante il lungo viaggio in mare. Oltre a resti di alimenti, come le olive. Recuperato negli abissi del Canale di Otranto all’incredibile profondità di 780 metri, il carico di una nave corinzia del VII sec a.C. appena studiato nei laboratori della Soprintendenza nazionale per il patrimonio subacqueo, getta nuova luce sugli albori del commercio tra Corinto e la Magna Grecia. Di fatto retrodatandone l’inizio proprio ai primi anni del VII sec. a. C. «Una grande scoperta che dimostra la necessità di tornare a investire sull'archeologia subacquea», applaude il ministro della cultura Franceschini, che anticipa l'intenzione del ministero di avviare un progetto per riportare in superficie anche tutti altri reperti - circa 200 - rimasti in fondo al mare.
Individuato nel 2018 nell’ambito delle operazioni per la realizzazione della Tap, il metanodotto che porta in Italia il gas dell’Azerbaijan, il relitto dell’antichissima imbarcazione racconta in anteprima all’ANSA la soprintendente Barbara Davidde, è stato studiato grazie alla legge sull'archeologia preventiva, tanto che lo stesso recupero delle stoviglie oggetto dello studio, in tutto 22 oggetti, è stato finanziato dai lavori per il gasdotto. La sorpresa più grande, sottolinea l'archeologa, è arrivata però in laboratorio, quando gli esperti della soprintendenza istituita a gennaio 2020 dal ministro Franceschini, hanno ripulito e studiato il campionario di vasi e coppe constatando che si trattava di un materiale così antico. Si tratta in particolare di tre anfore della tipologia corinzia "A», dieci skyphoi di produzione corinzia, quattro hydriai di produzione corinzia, tre oinochoai trilobate in ceramica comune e una brocca di impasto grossolano, di forma molto comune a Corinto. Tra tutti l’oggetto forse più interessante è il pithos, ovvero la grande giara in coccio «con tutto il suo contenuto costituito da skyphoi impilati al suo interno in pile orizzontali ordinate». Almeno 25 di queste piccole coppe erano intatte, altre in frammenti, che si stanno ancora ripulendo e studiando. Ma intanto è proprio la datazione di questi preziosi oggetti ad emozionare. Perché fino ad oggi, spiega Davidde, «non si pensava che tra la Magna Grecia e la madre patria ci potesse essere un commercio organizzato già in questa epoca». Una scoperta davvero importante , fa notare anche il direttore generale dei musei di Stato Massimo Osanna «perché ci restituisce un dato storico che racconta le fasi più antiche del commercio mediterraneo agli albori della Magna Grecia, meno documentate da rinvenimenti subacquei, e dei flussi di mobilità nel bacino del mediterraneo». Tanto più che le tecnologie di indagine oggi permettono di risalire a tanti preziosi particolari, dal contenuto di anfore e brocche, fino ad esempio alla varietà delle olive di cui nella prima parte dello studio è stata individuata la presenza. Insomma «un patrimonio ricchissimo» per dirla con il ministro Franceschini, «in grado di restituirci non solo i tesori nascosti nei nostri mari, ma anche la nostra storia» Tant'è, anche la fase del recupero, sottolinea Davidde, è stata straordinaria. Gli esperti sono tornati a bordo di una nave oceanografica nel punto del Canale di Otranto in cui era stato individuato il relitto, a 22 miglia dalla costa, e lì hanno documentato il tesoro sommerso con video subacquei e fotografie. Poi servendosi di una sorta di sottomarino guidato via cavo e di una speciale pompa aspirante sono riusciti a riportare in superficie 22 degli oltre 220 oggetti georefenziati accanto ai resti dell’antica imbarcazione «E' stato un evento eccezionale anche per le tecnologie utilizzate», fa notare la soprintendente. Perché mai prima d’ora si era tentato il recupero di reperti rimasti a queste profondità. Quella che si racconta oggi , dice, «è un’operazione che entra nella storia della archeologia subacquea». Il progetto che si sta valutando prevede ora il recupero totale del carico e il suo studio, ma anche l’allestimento di un museo nel quale raccontare, quasi tremila anni dopo quel naufragio, l’avventura della nave partita da Corinto e delle meraviglie che trasportava.
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