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Arrestato dal Ros il latitante sardo Gratzianeddu, non ha opposto resistenza. Ecco chi è Graziano Mesina

Chi è il latitante Graziano Mesina

Graziano Mesina, 79 anni, noto anche come Gratzianeddu, il più famoso esponente del banditismo sardo, è stato rintracciato e arrestato nel corso della notte (intorno alle 3) dai carabinieri del Ros, con il supporto in fase esecutiva del Gis, del comando provinciale carabinieri di Nuoro e dello squadrone eliportato Cacciatori di Sardegna. Mesina era latitante dal luglio 2020, quando si era sottratto a un provvedimento di esecuzione pena a 24 anni di reclusione, emesso dalla procura generale presso la Corte di Appello di Cagliari. Mesina non ha opposto resistenza. Al vaglio degli inquirenti la possibilità che una coppia di coniugi ne avrebbe favorito la latitanza.

La sua storia

La quarta volta 'Grazianeddu' evase dal carcere di San Sebastiano di Sassari: assieme all’ex legionario spagnolo Miguel Atienza, si era lasciato cadere dal muro di cinta del carcere. Era il 1966: si disse che avesse indosso un abito da prete, per mischiarsi tra la gente della città e poi riguadagnare i monti della sua Orgosolo. Tanto che nel paese barbaricino in quei giorni finirono nel mirino delle forze dell’ordine quattro sacerdoti, che una sera passeggiavano per l’abitato, vestiti con la tonaca scura, ignari di quanto succedeva intorno a loro.
Da allora Mesina rimase alla macchia fino al 20 marzo del 1968 quando fu catturato a un posto di blocco da una pattuglia della polizia stradale vicino a Orgosolo.
All’ex primula rossa del Supramonte è stata attribuita una serie ininterrotta di sequestri di persona: Capelli, Campus, Petretto, Canetto, Papandrea, negli anni '60, e altri in quelli successivi. Condannato all’ergastolo per cumulo di pene, Mesina ha passato in carcere gran parte della sua vita, nonostante le tante evasioni.
Fra queste quella dal carcere di Lecce nel 1976, insieme ad altri detenuti, tra i quali un esponente dei Nap, i Nuclei armati proletari, attivi negli anni del terrorismo rosso e nero. Per non farsi riprendere, Mesina rimase nascosto una notte e un giorno, in mezzo alle fronde di una pianta, non distante dal penitenziario della città pugliese. Uscì solo quando le forze dell’ordine avevano spostato il punto delle ricerche.
La latitanza durò quasi un anno.
Dopo essere stato rinchiuso nel penitenziario di Porto Azzurro per scontare l’ergastolo, Mesina tenne un comportamento irreprensibile per ottenere il riesame della sua vicenda processuale. Nel 1985 si allontanò dal carcere per una 'fuga d’amorè ma era stato rintracciato e catturato. Le sue evasioni e la sua latitanza divennero mitiche in Sardegna e si racconta che spesso tornasse a Orgosolo per incontri con donne innamorate di lui.

Il sequestro Kassam

Dopo un periodo di relativo silenzio, l’ex primula rossa del banditismo sardo tornò alla ribalta nel 1992 quando rientrò in Sardegna per occuparsi del sequestro di Farouk Kassam. La vicenda suscitò polemiche sul ruolo di Mesina nella liberazione del bambino. L’anno successivo Gratzianeddu fu rinchiuso definitivamente in carcere dopo che furono ritrovate alcune armi in un cascinale di San Marzanotto d’Asti, dove viveva.

Dalla grazia all'arresto

Nel 2004 Mesina ottenne la grazia dall’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e tornò a vivere in Sardegna. Ma poi fu di nuovo arrestato il 10 giugno del 2013, per traffico internazionale di droga. Tre anni più tardi Mesina fu condannato a 30 anni di carcere per associazione a delinquere specializzata nel traffico di droga: era stato ritenuto il capo di un’organizzazione che aveva contatti con un clan di calabresi che operava sulla piazza di Milano e faceva arrivare la droga in Sardegna. La sua figura era emersa come quella di leader carismatico di una banda composta da una trentina di persone.
Il verdetto della seconda sezione penale del tribunale di Cagliari era stato più pesante della richiesta del pubblico ministero, che aveva chiesto la condanna a 26 anni di carcere. Nel 2018 la pena gli era stata confermata in appello. Mesina, che si è sempre proclamato innocente, era tornato in libertà il 10 giugno 2019 dopo sei anni di carcere a Nuoro per decorrenza dei termini di carcerazione. Un anno, fino ai primi di luglio del 2020, Mesina l’aveva trascorso a Orgosolo, a casa di una sorella e di un nipote.
Da ragazzino era straordinariamente forte. Aveva un’"energia incredibile», lo ricorda il giornalista dell’AGI Mario Tomainu, suo amico d’infanzia (scomparso quest’anno) nel libro di Giuseppe Fiori 'La società del malessere'. Ma era anche fragile, vittima di una gerarchia familiare dura e spietata. «Avevano un branco di maiali, Graziano li custodiva. Spesso, per qualche cosa non andata secondo il verso giusto, le buscava sode, anche non avendone colpa. Mai i fratelli grandi li rispettava, non s'era mai ribellato», così era descritto nel volume di Peppino Fiori. «Gli veniva facilmente sangue dal naso e per questo aveva sempre dietro una bottiglietta di sciroppo con liquido emostatico. Alle bastonate dei fratelli rispondeva urlando, il sangue al naso lo innervosiva, e allora strillava come un cinghialetto, ma senza rivoltarsi mai».
La sua ultima latitanza è durata quasi un anno e mezzo, 60 anni dopo la sua prima evasione. Mesina e il suo passato hanno rivestito un ruolo non secondario nel portare Orgosolo alla ribalta nazionale e farne il paese simbolo della 'Sardegna criminale' per la quale sin dall’800 con commissioni parlamentari d’inchiesta, studi antropologici e psichiatrici, repressioni e retate come quelle descritte da Giulio Becchi in 'Caccia Grossa', a cavallo della fine dell’800.
La grazia del presidente della Repubblica, nel 2004, che aveva cancellato l’ergastolo restituendo a Mesina la libertà, è stata annullata con la conferma in Cassazione della condanna per traffico internazionale di droga. Quando un anno e mezzo fa è sparito da Orgosolo, dove faceva vita da pensionato, a parte l’obbligo di firma quotidiano in caserma, era difficile pronosticare una latitanza così lunga, anche se probabilmente preparata da tempo.

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