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La strage di Capaci raccontata da Saviano. Chi era Rita Atria, la diciassettenne suicida

Un giovedì di riflessione al Festival di Sanremo. Tutto l’Ariston è in piedi per rendere omaggio alle vittime della mafia: «Ricordare - scandisce Saviano - non è un atto passivo, viene da 're-cordari', rimettere nel cuore, non vuol dire provare nostalgia per Falcone e Borsellino, ma rimetterli in vita sentendoli battere in noi». Per tutti, anche per chi non c'era, «sono simboli di coraggio, che è sempre una scelta», incalza lo scrittore, citando gli esempi di Chinnici, Terranova, Saetta, Costa, Giacomelli, Livatino, «finiti sotto i colpi delle mafie» e sottolineando che Falcone e Borsellino, oggi «celebrati come eroi», subirono la delegittimazione, «non c'erano i social ma c'erano gli haters». Ebbe il coraggio di scegliere Rita Atria, la più giovane testimone di giustizia, suicida a 17 anni dopo via D’Amelio: Saviano - all’Ariston a titolo gratuito - chiude il monologo citando la frase di un suo tema, «se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo».

Chi era Rita Atria

Vittima indiretta della mafia, Rita Atria, collaboratrice di giustizia, morta suicida il 26 luglio 1992, una settimana dopo la strage di via D'Amelio nella quale fu ucciso il giudice Borsellino. Rita Atria, che aveva 17 anni (era nata a Partanna il 4 settembre 1974), è morta lanciandosi dal settimo piano di un palazzo del quartiere Tuscolano, a Roma, dove viveva sotto la protezione dell' alto commissariato antimafia. Dopo l' uccisione di Borsellino, la ragazza era caduta in uno stato di profonda prostrazione. ''Sono rimasta sconvolta questa la motivazione del suo gesto - dall' uccisione del procuratore Paolo Borsellino, adesso non c'è più chi mi protegge, sono avvilita, non ce la faccio più''. Nella casa al Ruscolano era arrivata da soli tre giorni (le misure di sicurezza prevedevano frequenti cambi di domicilio).

Rita Atria, figlia di Vito e sorella di Nicolò, entrambi assassinati dalla mafia nella guerra fra cosche rivali, aveva iniziato a collaborare con Paolo Borsellino e poi con i sostituti Alessandra Camassa e Massimo Russo, ai quali aveva rivelato aspetti ritenuti estremamente interessanti sulle cosche mafiose del trapanese e del Belice.
Il padre, Vito Atria, era stato ucciso a 42 anni in un agguato mafioso a Partanna il 18 novembre del 1985. Il fratello di Rita, Nicolo', di 27 anni, aveva subito la stessa sorte il 24 giugno 1991, ucciso nella sua pizzeria di Montevago. Le rivelazioni di Rita Atria e della cognata Piera Aiello avevano consentirono di delineare gli scenari dalla ''guerra'' di mafia che a Partanna aveva provocato una trentina di omicidi nella faida tra la famiglia dei Ingoglia, alla quale appartenevano gli Atria, e quella degli Accardo, detti 'cannata'.

La madre di Rita, Giovanna Cannova, qualche mese dopo la morte della figlia, venne sorpresa mentre prendeva a martellate la sua fotografia sulla tomba di famiglia a Partanna e per questo atto fu condannata a due mesi e 20 giorni. In un'udienza del processo a numerosi componenti della mafia di Partanna, un pentito rivelò poi che la notizia del suicidio di Rita Atria fu accolta nel carcere di Trapani con un lungo applauso.

La storia di Rita Atria approda nel 1997 alla Mostra del Cinema di Venezia con ''Diario di una ribelle'', un mediometraggio realizzato dal giovane regista palermitano Marco Amenta.

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