Uccise il padre per «legittima difesa» nel corso di «una lotta ingaggiata per sopravvivere». E quindi deve essere assolto. Questo dicono le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Assise, a Torino, lo scorso 24 novembre, ha scagionato il ventunenne Alex Pompa dall’accusa di omicidio nonostante la proposta del pm Alessandro Aghemo, che si era detto «costretto a chiedere 14 anni di carcere».
Il 30 aprile 2020, nella casa di famiglia a Collegno (Torino), il giovane trafisse Giovanni Pompa per 34 volte servendosi di sei coltelli da cucina diversi. Il genitore, in uno dei suoi frequenti e furibondi scatti di collera, si era appena scagliato contro la madre. La sentenza è stata redatta a quattro mani dai due giudici togati della Corte, Alessandra Salvadori e Melania Eugenia Cafiero, che hanno accolto in larga misura la tesi della legittima difesa portata avanti dall’avvocato difensore, Claudio Strata. Il pm non è mi stato d’accordo. Ma il problema, secondo le due toghe, è che la prima impressione fu quella di essere di fronte a un caso già risolto. A complicare le cose c'è stato il fatto che prima dei carabinieri erano entrati in casa i soccorritori del 118. Il processo, a giudizio della Corte, ha chiarito non solo i retroscena, ma pure la dinamica del fatto.
Giuseppe non fu una vittima incolpevole, ma un aggressore "furioso", armato a sua volta di coltello, che «aveva gli occhi da demonio» e urlava «vi ammazzo tutti». Per Alex l’unica alternativa era «soccombere» e permettere all’avversario di accanirsi mamma e fratello. La sentenza - opposta rispetto a quella pronunciata ieri dalla Corte d’Assise di Genova, che ha condannato a 21 e 14 anni di reclusione Alessio e Simone Scalamandrè, 30 e 22 anni, accusati di aver ucciso il 10 agosto 2020 il padre Pasquale al termine di una lite - racconta gli anni di «clima di tensione» e di «elevatissima violenza» patiti dalla moglie, Maria, e dai due figli, Alex e Loris, che erano arrivati a registrare di nascosto, quando non erano impegnati a difendersi, le sfuriate del padre: «Prima o poi ci avrebbe ammazzato, volevamo lasciare una traccia».
«Temevo di diventare l’ennesima vittima di un femminicidio», ha dichiarato la signora Maria. Quel «tremendo» 30 aprile il marito l’aveva contattata rabbiosamente via telefono e via whatsapp circa cento volte solo perché aveva salutato un collega di lavoro (faceva la cassiera) con un sorriso. Forse - annotano i giudici - il suo residuo equilibrio era «saltato» per il lockdown; certamente aveva bevuto troppo. Comunque la aggredì verbalmente prima ancora che varcasse la soglia di casa. Per il pubblico ministero non bastava a giustificare le coltellate nemmeno sotto forma di eccesso colposo in legittima difesa. La Corte è stata di avviso diverso. E Alex, studente modello, ragazzo mite costretto a crescere in un "clima traumatizzante», è stato assolto.
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