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Matteo Messina Denaro è al 41 bis: il boss si nascondeva a Campobello di Mazara da sei mesi. Trovati viagra, preservativi e scarpe di lusso

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha firmato questa mattina il 41bis per Matteo Messina Denaro. Quest'ultimo è stato trasferito nel supercarcere dell'Aquila in Abruzzo. Matteo Messina Denaro si trova in una delle celle singole del carcere dell’Aquila. Secondo quanto si apprende da fonti qualificate il boss mafioso è tranquillo ed è stato affidato alle cure dei medici della Asl che operano all’interno del penitenziario. La cella, di poco più di dieci metri quadrati, si trova in una delle sezioni del carcere che ospita in totale 159 detenuti, di cui 12 donne. Tra loro c'è anche la terrorista Nadia Desdemona Lioce, condannata all’ergastolo per gli omicidi D’Antona e Biagi.

Legale di fiducia è la nipote Lorenza Guttadauro

Il capomafia di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, ha indicato la propria nipote, l’avvocato Lorenza Guttadauro, come legale di fiducia. La penalista è figlia della sorella del boss, Rosalia, e di Filippo Guttadauro. Suo nonno paterno è lo storico boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. La nomina non è stata ancora ufficializzata, ma preannunciata alla professionista. Matteo Messina Denaro da latitante non ha avuto legali di fiducia, ma è stato assistito da difensori d’ufficio. Il primo "impegno" processuale del capomafia di Castelvetrano è previsto tra due giorni: il 19 gennaio infatti si terrà, nell’aula bunker di Caltanissetta, un’udienza in cui è imputato per le stragi mafiose del '92, di Capaci e Via D’Amelio. Se la penalista dovesse ricevere l’incarico anche per quel procedimento l'udienza potrebbe essere rinviata in caso di un’eventuale richiesta di concessione di termini a difesa.

Individuato il covo

I carabinieri del Ros e la procura di Palermo guidata da Maurizio De Lucia hanno individuato il covo del boss Matteo Messina Denaro, arrestato, ieri, alla clinica Maddalena di Palermo. E’ a Campobello di Mazara, nel trapanese, paese del favoreggiatore Giovanni Luppino, finito in manette insieme al capomafia. Il nascondiglio, secondo quanto si apprende, è nel centro abitato, in vicolo San Vito (ex via Cv31). Una casa che negli ultimi mesi, dopo il
trasferimento dei proprietari, era rimasta disabitata. Le ricerche sono state coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Guido.

La perquisizione del luogo dove l'ex primula rossa di Cosa nostra si rifugiava è durata tutta la notte. Alla perquisizione ha partecipato personalmente il procuratore aggiunto Paolo Guido, che da anni indaga sull'ex latitante di Cosa nostra. L’edificio è stato setacciato palmo a palmo.

Proprietario covo Messina Denaro è Andrea Bonafede

Il covo di vicolo San Vito dove si nascondeva il boss Matteo Messina Denaro, nel centro di Campobello di Mazara, è di proprietà di Andrea Bonafede, lo stesso titolare della carta d’identità falsa utilizzata dal super latitante. Lo ha confermato all’Ansa il colonnello Fabio Bottino, comandante provinciale dei carabinieri di Trapani. L'ufficiale non ha invece voluto confermare se Bonafede, che ieri era stato interrogato in caserma, sia indagato.

Angelosanto: "Ora scoprire se nel covo di Campobello abitavano più persone"

"Siamo arrivati in tarda serata a Campobello di Mazara che era sulla diretta influenza di Messina Denaro e lì abbiamo individuato l’abitazione. La Procura della Repubblica di Palermo è intervenuta e ha posto i sigilli. Adesso si attendono i rilievi scientifici affidati ai nostri Ris di Messina". Così il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros dei Carabinieri spiega a Sky Tg24 come si è arrivati a individuare dove negli ultimi tempi si nascondeva il boss di cosa nostra. "Noi riteniamo che si tratti di un’abitazione utilizzata con continuità nell’ultimo periodo e al suo interno confidiamo di trovare elementi significativi sulla rete di protezione del latitante. Faremo dei repertamenti biologici per scoprire se era abitata da più persone".

"La malattia l'ha reso vulnerabile"

"Messina Denaro era il capo della provincia trapanese di cosa nostra che era sotto il suo controllo e aveva l'esigenza di proteggersi dall’attività investigativa sfruttando la rete che non era solo di fiancheggiatori ma di tutti i mafiosi e per questo il punto di riferimento era sempre il suo territorio. Riteniamo che almeno nell’ultimo anno per le sue condizioni di salute non si fosse allontanato dalla Sicilia, perché doveva curarsi" dice il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros dei Carabinieri a Sky Tg24. "Le condizioni di salute, poi, oggettivamente l’hanno reso più vulnerabile e costretto a muoversi con una rete di protezione più ravvicinata e quindi ha lasciato più tracce del suo passaggio" aggiunge il comandante dei Ros che poi svela altri particolari sulla sua cattura, smentendo le voci di un possibile tentativo di fuga da parte di Messina Denaro.

"Non ha tentato la fuga"

"Non c'è stato nessun tentativo di fuga - dice -. Il latitante è stato individuato nel comprensorio della clinica e dopo l'accettazione in day hospital abbiamo avuto la conferma del suo ingresso, perché tenevamo sotto controllo il registro dell’accettazione è abbiamo avuto la certezza che stesse utilizzando le generalità di cui si era appropriato e quindi è scattata la cinturazione da parte degli uomini del Ris, dei Ros e degli uomini dei Carabinieri del luogo, saturando tutti i piani, ed effettuando il riconoscimento di tutte le persone - oltre una dozzina - che erano all’interno del padiglione del day hospital".

"Se dovesse collaborare ben venga"

"Non ha dato nessun tipo di indicazione. Adesso ci sarà la verifica dei magistrati della Procura della Repubblica di Palermo. Faremo tutti gli approfondimenti sulla rete dei fiancheggiatori e se dovesse collaborare ben venga". Così a Sky Tg24 il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros dei Carabinieri risponde a una domanda se Messina Denaro ha mostrato segni di voler collaborare con la giustizia. "Al momento dell’arresto abbiamo sequestrato alcuni cellulari che non abbiamo ancora esaminato. Se ci sono contatti con altre utenze dovremo capire se erano contatti consapevoli o di persone che non sapevano di avere a che fare con un latitante" conclude Angelosanto.

Il generale Luzi: "Nessun mistero sulla cattura"

«Non ci sono misteri né segreti inconfessabili. Abbiamo lavorato per anni e anni e gli abbiamo fatto terra bruciata intorno. Fino a questo risultato straordinario che deve essere dedicato a tutte le vittime di mafia": lo ha affermato il comandante generale dei Carabinieri, Teo Luzi, raccontando gli sforzi che hanno portato alla cattura di Matteo Messina Denaro in un’intervista al Corriere della Sera. «Nell’ultimo mese avevamo capito che il cerchio si stava stringendo e sapevamo che ogni momento poteva essere quello buono», ha detto Luzi, «negli ultimi giorni eravamo più consapevoli, ma la storia ci ha insegnato che nulla è scontato soprattutto quando si tratta di un capomafia».

«Le nostre ricerche - ha aggiunto - si sono sempre concentrate in Sicilia, eravamo pienamente consapevoli di dover trovare un buco nella rete di protezione del capo. Ma è bene sapere che si tratta di una rete stretta e non facilmente penetrabile, dopo la cattura tutto sembra semplice. Avevamo un pool di investigatori dedicati esclusivamente a questa indagine e con un gioco di squadra - che evidentemente comprende la polizia di Stato e gli altri apparati di sicurezza - siamo riusciti ad afferrare il filo giusto. Il metodo del generale Carlo Alberto dalla Chiesa è quello tuttora applicato dai colleghi del Ros che prevede la perseveranza e soprattutto la scelta di utilizzare le tecniche investigative tradizionali. Vuol dire raccolta di tantissimi dati informativi dei reparti dei carabinieri, intercettazioni telefoniche e ambientali, verifiche sulle banche dati dello Stato, interrogatori».

«Questa è una battaglia vinta, non è certamente la fine della mafia», ha sottolineato il comandante dell’Arma, «noi continueremo la lotta contro Cosa Nostra perché il cerchio non è chiuso e anzi le indagini devono andare avanti nella consapevolezza che il nemico è tuttora forte e capace di infiltrarsi nelle istituzioni. Quando la mafia non spara non vuole dire che non sia attiva, anzi. La cattura di Messina Denaro ci dà nuovi stimoli ad andare avanti proprio seguendo il metodo applicato finora. C'è un’altra rete, quella degli affari e delle infiltrazioni, che va smantellata».

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