Lunedì 23 Dicembre 2024

A cosa serve la memoria?

 
Bambini internati ad Auschwitz
I numeri sul braccio: un ebreo che fu rinchiuso in un lager, un migrante al confine cecoslovacco
Due giovani internati in un lager cercano di fuggire passando sotto il filo spinato
Una famiglia siriana cerca di passare al confine ungherese

Le immagini che accostiamo qui accanto vogliono essere una provocazione. Perché se, ovviamente, non sono comparabili un fatto come l’Olocausto, con le sue persecuzioni pianificate, e il fenomeno delle migrazioni di massa che investe oggi il cuore dell’Europa, quello che sconvolge – al netto di qualsiasi posizione ideologica – è il fatto, questo identico e persino presso a poco negli stessi luoghi, che muri di filo spinato si drizzino per separare gli uomini, che gesti identici vengano ripetuti – e moltiplicati, ora, senza fine nell’era della riproducibilità senza fine dell’esistente – a pochi anni di distanza.
Braccia segnate da numeri, corpi che si contorcono per superare reticolati, bambini che s’ammassano dietro il filo spinato: proprio lì dov’era già accaduto, dove la terra ancora geme sotto il peso del sangue, del dolore. Dove la gente è stata perseguitata, e dovrebbe ricordarlo ancora, come si fa ad accogliere, a proteggere, a consolare, proprio perché venne privata di accoglienza, protezione, consolazione, o fu testimone di come ciò potè avvenire.
Ogni volta che ci facciamo persuadere da chi cerca, oggi, di scatenare i demoni della paura dovremmo ricordarci che accadde esattamente la stessa cosa, ottant’anni fa: venne inventato un nemico (gli ebrei ma non soltanto: tutti i “diversi”, che fossero Rom, omosessuali, oppositori politici, portatori di handicap), gli si attribuirono tutte le colpe, e quel nemico fu perseguitato. Oggi corriamo il rischio di creare un nemico, e perseguitarlo, non con le camere a gas, ma negandogli rifugio, accoglienza, umanità. Corriamo il rischio, come allora, di non restare umani.
A che ci serve, una Giornata della Memoria che non ci rammenti questo?

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