Le immagini che accostiamo qui accanto vogliono essere una provocazione. Perché se, ovviamente, non sono comparabili un fatto come l’Olocausto, con le sue persecuzioni pianificate, e il fenomeno delle migrazioni di massa che investe oggi il cuore dell’Europa, quello che sconvolge – al netto di qualsiasi posizione ideologica – è il fatto, questo identico e persino presso a poco negli stessi luoghi, che muri di filo spinato si drizzino per separare gli uomini, che gesti identici vengano ripetuti – e moltiplicati, ora, senza fine nell’era della riproducibilità senza fine dell’esistente – a pochi anni di distanza.
Braccia segnate da numeri, corpi che si contorcono per superare reticolati, bambini che s’ammassano dietro il filo spinato: proprio lì dov’era già accaduto, dove la terra ancora geme sotto il peso del sangue, del dolore. Dove la gente è stata perseguitata, e dovrebbe ricordarlo ancora, come si fa ad accogliere, a proteggere, a consolare, proprio perché venne privata di accoglienza, protezione, consolazione, o fu testimone di come ciò potè avvenire.
Ogni volta che ci facciamo persuadere da chi cerca, oggi, di scatenare i demoni della paura dovremmo ricordarci che accadde esattamente la stessa cosa, ottant’anni fa: venne inventato un nemico (gli ebrei ma non soltanto: tutti i “diversi”, che fossero Rom, omosessuali, oppositori politici, portatori di handicap), gli si attribuirono tutte le colpe, e quel nemico fu perseguitato. Oggi corriamo il rischio di creare un nemico, e perseguitarlo, non con le camere a gas, ma negandogli rifugio, accoglienza, umanità. Corriamo il rischio, come allora, di non restare umani.
A che ci serve, una Giornata della Memoria che non ci rammenti questo?