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Ma dopo i salvataggi che succede “A casa nostra”?

Un anno dopo “Salvezza” ci chiediamo tutti se davvero la salvezza si è compiuta. In fondo, col salvataggio in mare la storia d'un migrante - anche quelli che hanno attraversato mesi d'inferno nelle prigioni libiche, o quelli tenuti per giorni nelle nostre acque, per assecondare la peggiore propaganda - non è che a metà, o addirittura all'inizio. Perché poi c'è l'altra fase. “A casa nostra. Cronaca da Riace” (Feltrinelli) di Lelio Bonaccorso e Marco Rizzo indaga e ci racconta quella seconda fase, con la stessa forza di “Salvezza”, reportage a bordo della nave Aquarius, che lo scorso anno aveva inaugurato con grande successo (4 ristampe in pochissimo tempo, edizioni estere) la collana Feltrinelli Comics. L'esperimento - raccontare con gli strumenti del fumetto l'attualità più scottante, i temi più delicati: quel graphic journalism che una volta si chiamava «fumetto d'impegno civile» o «cronaca a fumetti» - funziona, e Lelio e Marco continuano con questo secondo, necessario capitolo.

Lelio Bonaccorso: «Cronaca da Riace è la naturale chiusura del cerchio di “Salvezza”. È nato anche sulla scia di tutte le domande che ci facevano tanti lettori di “Salvezza”: e adesso cosa succede? “Cronaca da Riace” è questa risposta. La Calabria, con la Sicilia, è una delle terre che accoglie di più, e presenta situazioni diversissime. Il modello Riace, San Ferdinando, l'inferno in cui spariscono le persone, e infine Gioiosa Ionica con le sue esperienze riuscite, a dimostrare che l'integrazione è possibile».

Marco Rizzo: «Noi avevamo intanto una curiosità personale sul dopo, visto anche che nel frattempo era persino peggiorato l'atteggiamento verso i migranti, non solo quelli da salvare ma quelli che erano già qui. In Calabria abbiamo trovato un triangolo ideale: Riace, un sistema che funzionava ed è stato smantellato, Gioiosa, che applica lo stesso metodo, e funziona ancora anche se su numeri sempre più ridotti, e la baraccopoli di San Ferdinando. Nel raggio di pochi chilometri tre storie interessanti che valeva la pena di raccontare».

Perché l'esigenza di fondo è quella del giornalismo: andare a vedere di persona e poi raccontare. Sono gli strumenti usati che ne fanno una cosa diversa, una diversa “narrazione”. Ma su questo i due autori (Marco scrive i testi e Lelio disegna) hanno idee molto chiare: la suggestione non deve scavalcare mai la realtà, semmai empatizzarla, resocontare, attraverso il potente strumento del disegno - che è arte - anche le emozioni trovate, ma per aiutarci a capire, non per sostituire la suggestione alla realtà.

Bonaccorso: «Noi lanciamo degli input ai nostri lettori, non vogliamo convincere nessuno, portiamo informazioni di prima mano, verificabili, storie vere, anche positive. Poi ognuno può farsi la sua idea».

Rizzo: «Noi non facciamo narrazione, noi facciamo informazione. Noi proviamo a fornire dati, strumenti, anche per provare a contraddire le bufale, i luoghi comuni e le imprecisioni su questo tema, e ci hanno dato atto in tanti di avere cambiato prospettiva. “Salvezza” è stato molto apprezzato, qualcuno lo ha definito un “caso editoriale”, ma la nostra soddisfazione è che sia finito in mano a gente che la pensa diversamente e ha avuto magari gli strumenti per ragionare meglio».

D'altronde, i due autori sono due personaggi di “A casa nostra” («Ciò chiarisce ai lettori che il nostro racconto è mediato dal nostro punto di vista, non è un racconto “freddo”, e garantisce nello stesso tempo il rapporto di fiducia: sono esperienze davvero vissute, non è fiction»), che registra il loro reportage calabrese, i loro incontri coi migranti (le storie di Blessing e Angela e Ishak e Buba e Sherif) e con Mimmo Lucano, protagonista d'una lunga intervista - e anche presente alla prima, trionfale presentazione del libro, a Milano (a Roma sarà domani e a Messina martedì) - , il loro aggirarsi in una Calabria rappresentata molto diversamente dal solito, piovosa, triste e colta in tutte le sue contraddizioni: magnifica e tragica, luogo di bellezza e di orrori.

Bonaccorso: «Noi abbiamo voluto rappresentare le due facce della Calabria, la bellezza e la devastazione della bellezza con l'abusivismo, gli ecomostri tra gli ulivi. Ma anche due facce della nostra società: lo specchio dell'Italia di oggi. Una realtà molto contraddittoria: come quelli che ci hanno detto che il futuro di Riace “è col turismo, non coi negri”, ma il paese oggi è vuoto e ogni attività interrotta...».

Rizzo: «Tutte le regioni del Sud sono regioni di contraddizioni, che si esemplificano in una delle immagini disegnate da Lelio nel libro: un ecomostro dentro un magnifico paesaggio di ulivi. Nella bellezza c'è la rovina e l'orrore, e questo succede su più piani. Le contraddizioni sono belle, magari, a vedersi, ma hanno ricadute sulla vita quotidiana e non sono cortocircuiti artistici, ma cortocircuiti sociali. Noi affrontiamo questo tema anche ragionando su quali sono le conseguenze sul tessuto sociale, sull'occupazione: la Calabria è la regione d'Europa col tasso di disoccupazione più alto, e i progetti d'accoglienza erano riusciti a creare occupazione. Non è una Calabria da cartolina, è una Calabria vera. Noi ci siamo stati a gennaio, con un tempo grigio. È vero ed è triste ed è anche forse metaforico: quei cupi esoscheletri di palazzi incompiuti, i centri commerciali che spuntano dal nulla. Sono immagini reali, la provincia d'Italia, immagini che danno un'atmosfera di malinconia che purtroppo è quella che abbiamo visto raccogliendo le storie di gente che magari da anni era qua ed era integrata e anche grazie al primo decreto sicurezza si è trovata a diventare fantasma, senza certezze, senza futuro».

In un nulla che quelle immagini ci restituiscono con acuminata precisione.

Ma cosa chiedereste al governo, oggi?

Bonaccorso: «Di eliminare quelle norme indegne del decreto sicurezza, ripristinare i progetti Sprar, e anche la possibilità per una volta di fare veramente fronte alla propaganda di odio scatenata negli ultimi anni. Un progetto serio, politico culturale intellettuale, per fare vedere qual è la parte buona, e positiva della realtà».

Rizzo: «Questa questione non va vista assolutamente in maniera sovranista. Come le persone superano i confini per cercare una vita migliore, soluzioni possono trovarsi solo se si superano i confini. Non facendo le prove di forza, costringendo la gente in mare, ma sui tavoli a cui si decidono i trattati (a cui qualcuno non voleva partecipare...), e che invece servono per trovare l'umanità, e il concetto di un'Europa che non è certamente quella in cui i capitali e le merci circolano liberamente e le persone no. Vanno ripresi i corridoi umanitari, va rivista la politica dei visti, sicuramente va ridiscussa Dublino».

Gli strumenti del dialogo, e dell'umanità. È questione di “Salvezza”. La nostra.

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