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La “Misericordia” nella danza del cuore di tre prostitute-fate

Negli spettacoli di Emma Dante c’è sempre la perfezione dell’imperfezione, la centralità della periferia, la consuetudine dell’estremizzazione, il cuore di chi non ha il tempo di averlo, la poesia della vita nuda e cruda, la misericordia là dove i sentimenti sono stati spenti. E appunto “Misericordia” si chiama il nuovo spettacolo della regista e autrice siciliana, che ha debuttato – accolto da lunghissimi applausi – nel teatro Grassi, sede storica del Piccolo di Milano.

È una storia di periferia (umana ancor prima che urbana), di povertà (morale oltre che materiale), di reclusione in una vita non scelta ma subita, dove l’esercizio della prostituzione anche in tarda età è vissuto con inerte rassegnazione, come un “fine pena mai”. Eppure, ecco che fiorisce la misericordia in questo degrado di tre donne che convivono, si aiutano per abitudine tra una lite e l’altra, sferruzzano con la stessa indifferenza con cui ballano, imperfettissime e seminude, davanti all’uscio di casa per attirare qualche cliente (un ballo in cui la regia punta su un’energia ancestrale, residuo di un’altra umanità possibile, e nello stesso tempo esso viene preparato quasi come un ripetitivo cambio della guardia tra sentinelle). Non sono scene immaginate, ma realisticamente “teatralizzate”: di vita vera, intensamente non vissuta, in tanti quartieri cittadini dedicati alla prostituzione “casa e bottega”, oggi sostituite dalla strada e basta. Senza mai inclinare al romanticismo elitario che altri hanno utilizzato per descrivere un sottobosco sempre confinante con l’ordinario borghese e mantenendo il suo stile, solo apparentemente esasperato, Emma Dante racconta l’atto di amore di queste donne, perdute alla società “civile”, che crescono come mamme il figlio autistico di una “collega”, morta sotto la violenza del suo cliente abituale, un falegname soprannominato Geppetto. Ed è sempre un atto di amore che le fa decidere ad aprire al ragazzo le porte di casa per seguire il suono di una banda (che forse lo porta al Paese dei Balocchi o forse davvero in una casa famiglia dove potrà essere accudito), mentre lo vestono come un novello Pinocchio, simbolo della possibilità di ri-scoprire la vita. Anche la compassione è indecenza (dice la scrittrice Elena Stancanelli), come quella di un’esistenza senza orizzonti, perché appare scandalosamente fuori contesto.

Sul palcoscenico la regia teatralizza la realtà senza fare sconti estetici, anche se le luci di Cristian Zucaro sono essenziali per creare ambiente senza scenografia e ci sia una ricostruzione di iconografie caravaggesche (pittore della realtà, non è un caso) senza mai compiaciuti rallentamenti.

Lo spettacolo trova espressione piena nel dialetto (siciliano e pugliese) e nei movimenti, duri e flessuosi, delle tre attrici Leonarda Saffi (oversize con danzante leggerezza), Italia Carroccio e Manuela Lo Sicco. Eccellenti, a dir poco. Con loro, il ballerino Simone Sambelli, straordinario in senso assoluto, fa diventare danza incessante l’autismo e rende visivo il concetto di “misericordia”.

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