Tutti pensiamo di conoscere il Giappone e la sua capitale, Tokyo, facendo appello ad anime, romanzi e tantissimi film, esempio futuristico del mondo che verrà fra mode, eccentricità e nuove tendenze. Ma la scrittrice romana Laura Imai Messina ci guida alla riscoperta dell’Oriente, rallentando il ritmo, lasciandosi guidare dalle emozioni e dal pathos, firmando con “Tokyo tutto l’anno” (Einaudi con le illustrazioni di Igort), un libro di viaggio e di incontro, sentimenti e riflessioni cadenzate dalle usanze nipponiche, un’autobiografia sotto forma di città, pagine in cui racconta la sua storia di italiana in Giappone che dall’altra parte del mondo ha trovato tutto: casa, lavoro, amore e, soprattutto, il proprio posto nell’ordine delle cose. Scrittrice di successo – ricordiamo “Tokyo orizzontale” e “Non oso dire la gioia” – il suo ultimo romanzo “Quel che affidiamo al vento” (Piemme, 2020) è stato tradotto in tutto il mondo (e forse diventerà un film) e qui si racconta, tornando indietro alla prima scintilla orientale e lanciando lo sguardo verso il tempo che verrà. Laura, doveva restare un anno a Tokyo. Ne sono passati quindici. Cos’è successo? «Un colpo di fulmine con la lingua giapponese e un lungo corteggiamento con Tokyo e i giapponesi, verso i quali, all’inizio, provavo diffidenza perché non ne conoscevo a sufficienza la cultura, non quella dei libri ma quella vera, iscritta nei comportamenti. Dopo circa tre anni, ho iniziato a sentirmi a casa». «Tokyo non è tanto una metropoli quanto una narrazione al plurale». Il rimedio all’individualismo occidentale può essere un drastico cambio di prospettiva? «Sono convinta che serva cambiare, passando dall’io al noi, l’unico modo per portare avanti un discorso sul benessere di tutti anziché spezzettarlo, abbassando la qualità generale». Scrive romanzi, insegna all’università di Tokyo la lingua italiana e cura un blog di successo, Giappone Mon Amour. La maternità come ha cambiato il suo approccio con l’ispirazione? «La maternità ha cambiato la mia vita. Mi ha insegnato che non è la quantità del tempo a nostra disposizione ma la qualità della concentrazione a valorizzarlo. Ho sempre avuto molto tempo ma faticavo a metterlo a frutto; oggi, paradossalmente, i ritmi dettati dai bambini – la sveglia, i pasti, il ritorno dall’asilo – mi permettono di concentrarmi e ottimizzare il mio tempo. Soprattutto, la maternità sembra aver sbloccato l’accesso alle emozioni, permettendomi di vivere punti di vista, immedesimazioni, che prima mi erano precluse». «Tokyo, la città che smentisce». Cosa intende? «Tokyo è una città di preconcetti, la si immagina fredda e piena di grattacieli e invece è verde, piena di villette a due piani. Tokyo sa lasciarci negli occhi un grande stupore, sì». Questo libro giunge subito dopo il tuo ultimo romanzo, “Quello che affidiamo al vento” che sta riscuotendo clamore a livello internazionale. Il successo si può spiegare a parole? «No, non si può, altrimenti sarebbe facilmente replicabile. Indubbiamente i temi di quel libro parlano a tanti e raccontano il desiderio universale di mettersi in contatto con l’aldilà e le persone del nostro passato che abbiamo amato e sono state importanti per noi». C’è un progetto cinematografico proprio su quel libro. «Sì. Siamo in attesa…». Ha cercato l’amore fra i trentasei milioni di abitanti di Tokyo. Cosa l’ha conquistata nella sua metà, Ryosuke? «La sua calma. La sua capacità di stemperare l’eccesso di emozione, un tratto che fa parte dell’indole nipponica. Per temperamento fatico a tenere sotto controllo la mia emotività e lui, con la sua cultura e il modo di fare, mi placa e valorizza al massimo». Spesso viene contattata dalle redazioni per un punto di vista sul Giappone. Ma l’Italia, vista dall’altra parte del mondo, com’è? «L’Italia vista dal Giappone è decisamente bellissima. Ovviamente anche da qui ci sono immagini e preconcetti sul Belpaese ma sono tutte prettamente positive, lo si vede come un paese allegro, lieve nel contatto e decisamente pieno di passione».