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40 anni fa l'assassinio di John Lennon, l'ex Beatles che sognava un mondo migliore

L’aria gelida di New York quella sera di dicembre era riscaldata dalle luci che illuminavano l’attesa del Natale. La lancetta dell’orologio aveva in quell'istante segnato le 22,50 quando John Lennon e Yoko Ono, appena tornati da una sessione di registrazione al Record Plant Studio, dinanzi l'ingresso del Dakota Building, esclusivo palazzo dell’Upper West Side di Manhattan dove vivevano, incontrarono lo sguardo malato di Mark David Chapman, fan squilibrato con un passato trascorso tra il ricovero in un manicomio e una pesante dipendenza dalla droga.

Chapman alle spalle di Lennon estrasse una 38special, un revolver a canna corta, piegò leggermente le ginocchia, prese la mira e fece fuoco: 5 volte e in rapida successione. Ma prima si rivolse al suo idolo che stava assassinando: "Mr Lennon!" sentirono chiamare i testimoni. Improbabile che "Mr. Lennon" riuscì a fare caso al riverbero della canna rischiarata dalle luminarie. Il primo colpo lo mancò, gli altri quattro si conficcarono nella schiena, uno dei quali trapassò l’aorta.

"Mi hanno sparato, mi hanno sparato"

Prima di stramazzare a terra, Lennon trascinandosi fino alla guardiola riuscì con una flebile voce a chiedere aiuto; "I'm shot, I'm shot" ("Mi hanno sparato, mi hanno sparato"). Il primo a soccorrerlo fu il portiere, che tentò di usare il suo cappotto per bloccare l’emorragia. Intanto all’esterno del Dakota il custode, Josè Perdomo, riuscì a disarmare Chapman. L’assassino sembrava tranquillo e calmo; rimase immobile, si accucciò sul marciapiede, estrasse una copia de "Il giovane Holden" di Salinger in attesa dell’arrivo della polizia. Alla prima domanda che gli agenti gli posero, se sapeva cosa avesse fatto pochi minuti prima, Chapman con freddezza rispose sicuro: "Ho appena sparato a John Lennon". L’omicida non fece nessuna resistenza, si fece ammanettare e fu portato su un’auto alla più vicina centrale di polizia. Intanto altri agenti arrivati negli istanti successivi tentarono di soccorrere Lennon. Le sue condizioni apparvero così gravi che i poliziotti preferirono non attendere l’arrivo dell’ambulanza ma lo caricarono sulla propria auto di servizio portandolo al St. Lukès Roosvelt Hospital.

La famiglia decise di non celebrare alcun funerale

All’arrivo all’ospedale i medici tentarono di rianimare Lennon che aveva completamente perso conoscenza. Un massaggio cardiaco inutile, durato almeno 7 minuti. Alle 23,15 dell’8 dicembre del 1980, John Lennon, l’ex Beatle autore da solista di capolavori come "Imagine", "Watching The Wheels", "Mind Games", fu dichiarato morto. Per prima cosa dagli altoparlanti dell’ospedale furono sparate a tutto volume le note di "All my loving". La notizia ben presto fece il giro del mondo suscitando ovunque orrore e sgomento. Per volere della famiglia si decise di non celebrare alcun funerale, ma Yoko si rivolse ai milioni di fan e li invitò la domenica successiva a riservare qualche minuto di preghiera per quel mito ammazzato da un proprio fan. Il 14 dicembre 1980, milioni di persone in tutto il mondo risposero all’appello lanciato da Yoko Ono. Nei più disparati angoli della terra le attività si fermarono per 10 minuti, le radio sospesero le trasmissioni. Raduni vennero organizzati nelle principali città: a Liverpool si riunirono 10 mila persone, più di 200 mila si diedero appuntamento a New York, a Central Park.

Un artista che teorizzava un mondo migliore

Yoko Ono scrisse una lettera al New York Times e al Washington Post per ringraziare i fan sconvolti dal dolore, devastati dalla morte di un genio per mano di una mente assassina e malata. La mano di quel Mark David Chapman che in un’intervista spiegò le ragioni del suo folle gesto: "L'unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo, Lennon. Mi faceva imbestialire che lui avesse sfondato mentre io no. Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo "tutto" e il mio "nulla" hanno finito per scontrarsi frontalmente". Chapman nel suo isterismo centrò di Lennon uno di quegli elementi che lo resero immortale. Era un artista totalizzante, un genio creativo assoluto, non un semplice musicista, ma un personaggio che con le sue parole, le sue note e il suo pensiero teorizzava un mondo migliore. Se non altro ha reso un pò migliori le vite di un numero enorme di persone. Quanto basta per renderlo eterno.

 

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