L’amore per un luogo – quando non riguarda questo o quello spazio particolare, ma il tempo, tutto quanto il tempo – è amore per i luoghi d’ogni landa o regione, sia verde che brulla, sia ricca, e grata, che silenziosa per il troppo dolore accumulato. È per questo che “I love Platì. Cento piccoli film intorno a un paese dell’Aspromonte” (Leonida editore) di Luigi Mittiga va oltre il paese, coi suoi chiari e i suoi scuri, della Calabria: è infatti un dichiarato smisurato atto d’amore alla sopravvivenza, al perseverare irriducibile della bellezza anche quando si ritrova costretta, qui e là nel mondo, all’angolo, all’invisibilità quasi, all’oblìo probabilmente. Mittiga, che ha raccolto testi e fotografie con la precisione d’un archivista, che ha riempito i “vuoti”, mettendoci la sua, di scrittura, immortala – appunto – la bellezza dove nessuno si sognerebbe neppure di cercarla: tra i margini, ai lati trascurati d’un globo troppo spudoratamente svelato per potere – ancora – annunciare qualcosa di nuovo. Eppure Mittiga, con l’ostinazione di uno speleologo, scava e cataloga, discerne e mette insieme, e ogni “immagine” classifica, ordinandola in un puzzle. Che composto appare, a chi legge, rasserenante. Come sono riconcilianti i sogni se – pure sgualciti al risveglio – s’offrono a immediata tiepida nostalgia, presenti in fondo come nessuna realtà sa mai davvero essere. Ecco che Platì, “il paese qualsiasi” ritrovato da Mittiga – collezionista di ricordi, autore suo malgrado –, prende un respiro che è universale, sfatate le storie trite, liquidati i... luoghi comuni, recuperate memorie preziose e insperate. Note di pregio, da cui traspare l’anima più segreta delle cose, allusioni, aneddoti mentre prendono forma; e tanto sorprendente cinema. Sì, cinema: perché non solo il filo della narrazione è scandito dai titoli di cento film, abbinati ad altrettante storie tra il caso e una evidente o meno evidente suggestione, ma anche perché Mittiga, mentre si diverte nel “montaggio” del libro, pure non nasconde che il maggior languore è per l’epica che il più delle volte fa da sfondo alle grandi vite e alle grandi operazioni d’arte, dal “facondo” Sergio Leone al mitologico Clint Eastwood. È un libro, quello di Mittiga per l’editore Leonida, che coltiva il definitivo nell’effimero, quasi pasolinianamente: cosa c’è di più sfolgorante e insieme spietato, d’una foto che mostri due ragazzini – ingessati, tentano un sorriso – che fissano l’obiettivo mentre s’apprestano alla Prima Comunione? È il destino senza coscienza. Ritorno, forse, a ogni origine, tra tempi sbiaditi ma recuperabili – con una qualche lietezza –, tempi “antichi” però eguali, magicamente, a ogni altro tempo. Tutti – alla fine – in bianco e nero, com’è la verità.