Forse non è il miglior momento storico per guardare gli abissi, magari cercando di spingere lo sguardo nel fondo di un'enormità di cui non abbiamo (né possiamo avere) conoscenza. Sia che ci si limiti a un semplice pozzo, sia che si allarghino gli orizzonti (verso il basso) pensando al mare e alla Fossa delle Marianne, sia che si voglia viaggiare in grande verso l'oltre dei buchi neri, sia ancora che si pensi all'inferno nel senso più largo possibile, l'inquietudine dell'ignoto si accompagna sempre anche alla più inesausta delle curiosità. Se poi l'abisso è quello del nostro inconscio, frequentatissimo da quando Freud ha elaborato il concetto, il rischio dell'incertezza non è certo minore. Inutile aggiungere, credo, che vivendo noi un tempo che ha tutta l'aria di essere di mezzo, la mancanza di definizione, di cose pensieri propositi (e altro ancora), acuisce il nostro comune senso di indeterminatezza. Su questa inquietudine, singolare e collettiva, entra a gamba tesa RE (pseudonimo della milazzese Emanuela Ravidà) con la sua personale “Somewhere in the abyss” (più o meno: da qualche parte nell'abisso), a cura di Giuseppe La Spada e allestita fino al 21 settembre nel Museo del Mare di Milazzo, sito nell'ex chiesa di Santa Maria, all'interno del Castello. Cioè continua e compie in pieno una delle missioni principali dell'arte: non puntare su qualcosa di scontato su cui i visitatori possono serenamente (e inutilmente) appisolarsi, ma costringerli (occorre, comunque un minimo di disponibilità) a pensieri autonomi, ai quali le opere fanno da “apriscatole”, a (in)sofferenze utili, ad autonome revisioni di percorsi di vita. Ma davvero una mostra ci deve costringere a tutto questo? No, costringere mai, anche perché le opere di RE hanno un loro valore estetico fondato soprattutto sul colore e, riciclando carta e plastica (ovvero rifiuti), ci porta ad accontentare il nostro buonismo sociale, che quanto meno può amabilmente imprecare sullo spreco in cui stiamo annegando la nostra civiltà. Intendiamoci, anche questo è uno dei fini principali dell'artista, che già in passato ha riciclato con risultati sorprendenti vecchie porte e finestre e che quindi propone un punto di riflessione necessario se vogliamo davvero ridimensionare i consumi nel senso più etico possibile, oltre che economico. Ma questo è solo uno step. Nel suo interessante e condivisibile testo in catalogo, Mosè Previti ricorda una frase di Friedrich Nietzsche: «Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te». Il filosofo temeva la follia, in cui poi sarebbe caduto, ma la frase è utile per capire come RE abbia la forza necessaria per scrutare l'abisso e farsene scrutare. Lei, è evidente, ha tutto il coraggio necessario perché ha dalla sua la forza della creatività, arma sempre più spesso spuntata in tanti artisti famosi, talmente tesi verso l'idea “sbalorditiva” da lasciare per strada i contenuti. I colori e le increspature delle opere si rifanno al luogo e quindi ci parlano del mare, ma già i titoli che, messi insieme, formano una poesia costringono a un ampliamento degli orizzonti: «Sono qui / Ancora più in fondo / Verso l'abisso / Lasciandomi scivolare / Scordandomi di salire / E guardo la luce nuotare / Chiudo gli occhi per non cadere / È nel buio che devo entrare / Per perdermi in tutto / Per sentirmi in tutto / Nel respiro di un vulcano / Sono il Marsili». La citazione del vulcano sottomarino del basso Tirreno, attivo e potenzialmente molto pericoloso, fatta con la prima persona singolare, la dice lunga sul mettersi in gioco di RE e sull'invito a condividerne l'intenzione. Queste sono le opere su carta, create spezzettando i volantini pubblicitari di un supermercato (quelli che spesso buttiamo senza neppure guardarli), fino a ottenerne - con una complessa procedura di macerazione, essiccatura e stesa manuale del colore - mari che sembrano pronti ad aprirsi, a risucchiare, ma anche a donare. «La carta la manipolo, la tocco - spiega l'artista - . È un lavoro introspettivo. Ho tra le mani la mia fragilità, la mia impermanenza, la materia che si dissolve e si ricompone è la mia». E, se vogliamo, diventa anche la nostra. La vera novità, comunque, viene dalle opere in plastica che formano un'installazione site specific, e valorizzano anche lo scheletro (autentico) del capodoglio “Siso”, attorno al quale è nato il Museo del Mare, ideato dal biologo Carmelo Isgrò. Raccolto il materiale con la collaborazione di molte ditte locali, RE è riuscita ad assemblarlo senza combustione. Una vera operazione ecologica, oltre che artistica, ottenuta dal materiale più antiecologico dei nostri tempi. «Un passaggio apocalittico», forche caudine che ci siamo costruiti da soli con l'incoscienza e la voglia del guadagno a tutti i costi. La mostra è quindi anche un grido - di dolore, di allarme, di esortazione - che dovrebbe coinvolgerci tutti.