Claude Monet o le ninfee. Anche: Monet o il fondatore dell’Impressionismo. Questa definizione, ben più significativa della prima, arriverà dal giornalista Louis Leroy in tono sarcastico, nell’intento di stroncare la prima mostra (1874) di un gruppo di pittori indipendenti nei confronti della pittura tradizionale ufficialmente presentata ai Salons. Tra loro esponevano Cézanne, Degas, Pisarro, Renoir, Sisley. E Monet, con un’opera dal titolo “Impressioni davanti al sole nascente”, dove un sole color rosso arancio si fa strada tra nubi grigiastre e fumate di ciminiere mentre due barche nere macchiano l’acqua del porto. L’arancio del sole si riflette nell’acqua. Un’impressione, appunto. E “Impressionisti” Monet e i suoi colleghi rimasero. Con il seguito che si sa. Su Claude Monet, Milano Palazzo Reale insieme con Arthemisia promuove una imponente mostra (fino al 30 gennaio) che comprende 53 opere concesse dal musée Marmottan-Monet di Parigi. Realizzata in collaborazione con l’Accadémie del Beaux Arts Institute francese è curata da Marianne Mathieu, direttrice del Museo parigino. A sua firma è pure lo splendido catalogo edito da Skira. Paul Marmottan (1856-1932) collezionista di chiara fama e mecenate, alla sua morte lasciò in eredità all’Accadémie des Beaux Arts la sua grandiosa collezione di stampe, quadri, disegni, sculture e mobili epoca Impero, destinandola alla formazione di un museo. Trent’anni più tardi, il Museo Marmottan si arricchì della più grande collezione di opere di Claude Monet al mondo, grazie alla eccezionale donazione del figlio Michel. Altri cospicui lasciti e donazioni di pittori impressionisti suggerirono allora l’aggiunta del nome Monet a quello di Marmottan. La mostra milanese “Monet- dal Musée Marmottan Monet di Parigi”, è costituita da 7 sezioni, di cui la prima – un grande ambiente allestito in perfetto stile Napoleonico – dedicata alle collezioni Marmottan. Poi tutto Monet, in un percorso cronologico che esibisce anche opere considerate dallo stesso pittore tra le sue più significative, molte delle quali egli non volle mai vendere. “Monet o delle Ninfee”. È con queste infatti che il suo nome si è trasmesso ai posteri. Monet dipinse le ninfee ossessivamente. Per esse concepì nella sua campagna di Ginevry un giardino con uno stagno appositamente scavato. Non abbandonò più il soggetto, anche quando la sua vista, con la cataratta, era ormai quasi totalmente spenta. Le “impressioni”, le riflessioni di luce, il sortilegio di quei fiabeschi fiori acquatici non lo lasciarono più. Fu un genio precoce, Claude Monet. Nato nel 1840 a Parigi, incominciò da ragazzo, con caricature dei personaggi notabili di le Havre, dove la famiglia si era trasferita. Schizzi vivaci e psicologicamente acuti, tanto che i “modelli” li acquistavano, retribuendolo generosamente. Monet partì allora per Parigi, per impratichirsi con maestri eccellenti ed entrando in contatto con tutti i più grandi pittori del suo tempo. Negli anni a seguire, la vita di Monet, sempre oppressa da angosciose ristrettezze economiche, fu un succedersi vorticoso di eventi, incontri, viaggi. Dal Nordafrica ai fiordi della Norvegia; da Londra (dove dipinse le splendide vedute del Tamigi, Charing Cross e il celebre Parlamento) all’Italia (Venezia, Bordighera). In Olanda s’innamorò delle stampe giapponesi. Tornato in Francia approdò alla costa normanna (la spiaggia di Trouville) poi Argenteuil (le mille vedute del ponte di legno), poi Poissy, infine Giverny, la tappa definitiva. Ebbe due mogli, molto amate: Camille, che gli diede due figli, e Alice Hoschedé. Morì il 6 dicembre 1926, a 85 anni. Claude Monet fu tra i primi pittori a dipingere en plein air. “All’aperto” inteso come affermazione di libertà anche pittorica, corrente agevolata sul finire dell’Ottocento dallo sviluppo ferroviario e dall’invenzione dei colori in tubetti. Le tele hanno dimensioni ridotte, ma è la pittura che cambia: con pennellata più veloce, per fermare la luce che muta, il senso dell’aria, tanto da avvertirne i trasalimenti. Riconosciuto per i suoi colori tenui, gli azzurri diafani, i grigi sfumati, il caldo biancore della neve, i rosa, Monet irrompe anche con gialli, aranci, rossi, verdi cupi, che raccontano altre storie, altrettanto immediate e veritiere, come il viale di ingresso alla casa di Giverny. Ci sarà anche il periodo dell’astrazione: spazio, luce, cielo. La mostra si chiude con l’ultima opera di Monet: Le rose (1925). Il pittore quasi cieco fa sì che di queste rose noi percepiamo un’espressione disperata, confusa. Macchie scure piene di tonalità aggressive: verdi e rossi (colori, secondo Van Gogh, «per esprimere la passione»). Ultima magia.