Si può contrarre l'esistenza in dieci tracce? Lei lo sa fare. Pescare nella memoria più liquida, anche in quei ricordi che ancora non esistono, farli arrivare dai sogni pure se sono incubi. E costruirci il desiderio di una realtà migliore.
Voleva fare la rockstar Carmen Consoli, già da quando i banchi delle Orsoline erano il suo palco. "Volevo fare la rockstar" è Carmen Consoli. I suoi appunti, disappunti, contrappunti, contrappassi.
La prova vibrante che si può investire ieri per raccogliere domani, setacciare le piccole cose e specchiarci dentro i massimi sistemi. Che si può pure correre avanti a tutti senza lasciarsi rincorrere dall'ansia di arrivare. Rivendicando persino la libertà di non esserci, prendendosi tempo senza perderne. Lei lo sa fare.
Ora la cantantessa è tornata, dopo 6 anni. L'ascolti una volta ed è inesorabilmente lei, la risenti ed è molto, molto di più. Donna, madre, figlia. Femmina, come la musica.
Coi suoi giochi di parole serie, pensate e pesate. A mani nude sulle chitarre crude (c'è il tocco di Massimo Roccaforte tra i rintocchi della sua Rickenbacker a 12 corde), tra i "soli", liberi com'è la voce prevalente se non è prevaricante. In mezzo a "strumentini" e archi. In una narrazione complessa e perciò semplice, né complicata né facile.
Nella foto di copertina aveva 5 anni, faceva l'allieva della primina. Una posa elementare con lo sguardo superiore. Ha la penna nella destra, per scrivere quel che avrebbe voluto dire con la sinistra. Con la mano slegata dal pregiudizio e l'accento mai perso, sempre posto. Sulla dizione di chi pensa in siciliano e traduce in quel poliglottismo rock contaminato di passioni e citazioni.
Il disco (pronto un anno fa, ma rimasto chiuso come tutto il resto) è uscito il 24 settembre. Un singolo fin qui estratto, il testo anticipato a Verona, dentro l'Arena in cui ha celebrato i primi venticinque anni di carriera. Il tour nei teatri invece comincerà ad Assisi con la data zero, poi da Parma (il 4 novembre) fino alla Sicilia: doppia data a Palermo (16 e 17 dicembre), prima c'è Catania (il 15 e il 16).
Catania sua. La città ai margini di un Paese zeppo di maghi magoni imbonitori di mestiere e uomini neri che negano l'evidenza come fosse un'opinione. La terra dei morti ammazzati coperti da lenzuola bianche, di suo padre Peppe e di suo figlio Carlo, degli amori coraggiosi e delle rette che credono nell'infinito. Quella delle domeniche al mare, degli aquiloni, delle armonie numeriche e degli alberi che insegnano a camminare, tra le cose di sempre e quelle che non ti aspetteresti mai.
Invece "sta succedendo", sta succedendo ancora. Che la senti tra quelle immagini e la riconosci, che l'ascolti ed è nuova. Perciò "Volevo fare la rock star" è un album più che un disco. Roccioso, cullante, "pittato".
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