Il bacio. Giuditta. Due titoli, ma potrebbe bastarne uno solo a evocarne senza fraintendimenti l’autore: Gustav Klimt. O Klimt tout court. “Klimt. La Secessione e l’Italia”, al Museo di Roma a Palazzo Braschi è la mostra che aprirà domani (fino al 27 marzo), promossa da Roma Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, co-prodotta da Arthemisia in collaborazione con Belvedere Museum, Klimt Foundation di Vienna e collezioni pubbliche e private; direttori Franz Smola, Maria Vittoria Marini Clarelli, Sandra Tretter. Partner Julius Meini, Ricola, Catellani & Smith, Dimensione Suono Soft. Imperdibile catalogo Skira.
La mostra, consigliata da Sky Arte, ripercorre la vita e la produzione artistica di Klimt e la sua straordinaria multiforme evoluzione, sottolineandone il ruolo di cofondatore della Secessione viennese e indagando il suo rapporto con l’Italia, privilegiata meta dei suoi viaggi e di grandi successi (Biennale di Venezia del 1910; primo premio all’Esposizione Internazionale di Roma 1911, con Le Tre Età della Donna).
Sono circa 200 le opere esposte, tra dipinti, disegni, manifesti d’epoca e sculture, di Klimt e degli artisti della sua cerchia. Vi appaiono la famosissima Giuditta I, la Signora in bianco, Amiche I (Le Sorelle), Amelie Zuckerkandl… Ma ancora più interessante è la presenza di prestiti del tutto eccezionali come “La sposa” della Klimt Foundation e il “Ritratto di Signora” (stima tra 60 e 100 milioni di euro) trafugato dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e fortunosamente recuperato nel 2019. Il quadro tornerà in mostra nella sua sede piacentina nella primavera 2022.
Klimt (Vienna, 1862 ) animava il suo studio con stuoli di donzelle discinte con le quali abitualmente si accoppiava (dopo la sua morte, 14 donne sostennero in tribunale di aver avuto da lui un figlio, 6 dei quali furono riconosciuti). Il masochismo sentimentale delle donne essendo insondabile, una signorina “perbene”, Emilie Flöge, pur conscia della dongiovannesca vocazione dell’Artista, gli fu compagna fedele fino alla morte di lui, avvenuta l'11 gennaio 1918, a 56 anni, quando, di ritorno da un viaggio in Romania, Klimt fu colpito dall’influenza spagnola. Numerosi suoi dipinti rimasero non finiti. (Uguale sorte subirà alcuni mesi più tardi il collega/pupillo Egon Schiele, a soli 28 anni, vittima dello stesso inesorabile morbo).
Secondo di sette fratelli, padre orafo, madre versata nella musica lirica, Gustav Klimt era nato in ambiente con forte inclinazione per l’arte (due fratelli minori divennero pittori anch’essi). Nonostante pressanti ristrettezze economiche, Gustav poté frequentare la Scuola d’arte e mestieri fin dal 1876, imparando a padroneggiare diverse tecniche, dal mosaico alla ceramica, con risultati ottimali. Commissioni di prestigio e riconoscimenti non si fecero aspettare. Molto lavoro. Fama e tranquillità economica.
Nel 1903, i due viaggi determinanti di Klimt (prossimo ai quarant’anni) a Ravenna. È l’inizio del “periodo aureo”, dove l’oro musivo, eco dell’oreficeria paterna, scatena nel Pittore la passione per la trasformazione della realtà dall’opaco al brillante. È il momento di alcuni tra i capolavori più celebri: Giuditta I (1901) incantevole trasognata elegantissima immagine ; il Ritratto di Adele Bloch-Bauer (1907) gran dama simile a turrita libellula; Il bacio (1907-08) travolgente amplesso costruito in un intrico indissolubile di corpi: tutte opere convertite all'oro di Bisanzio.
Ovvia la prevalenza di figure femminili: magiche, armoniose, erotiche, irraggiungibili. Pregnanti i simbolismi. Tanto spasimante fulgore ha inaspettatamente un termine. Nel 1909, con la Giuditta II, tragica figura biblica ove tinte scure e forti incominciano a dominare l’oro, Klimt entra in crisi esistenziale ed artistica. Darà vita al “periodo maturo”, quanto mai a sorpresa. Caduto l’Impero austro-ungarico, scoppiata la prima guerra mondiale, tutto cambia e Klimt si mette a guardare Matisse, van Gogh, Toulouse-Lautrec. Declina il fiorito Art Nouveau e si fa strada la pittura espressionista, raccolta a Vienna da Schiele e Oscar Kokoschka, già allievi di Klimt. Ma quanto più stupisce è l’occhio che Klimt getta su un post-impressionista come Claude Monet. Non lo ricorda da vicino l’azzurro, spontaneo, dolce “Paesaggio italiano” del 1913, del tutto lontano dal rifulgente oro?
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