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Will Smith e il retroscena schock nel suo nuovo libro: "Volevo uccidere mio padre per vendicare mia madre"

Per la prima volta Will Smith si racconta nell'autobiografia "Will", scritta con l'autore e blogger Mark Manson, che esce il 9 novembre e sarà nelle librerie italiane l'11 novembre per Longanesi nella traduzione di Paolo Lucca e Giuseppe Maugeri.

Un "memoir" di 400 pagine

Nel travolgente memoir di oltre 400 pagine, con un inserto fotografico con immagini inedite, l'attore, produttore e musicista, due volte candidato all'Oscar, vincitore di quattro Grammy Award e del Naacp Image, racconta con grande onestà come si possa arrivare a padroneggiare davvero le proprie emozioni compiendo un viaggio di scoperta interiore in cui ci mette davanti a quello che si può ottenere attraverso l'esercizio della pura forza di volontà, e a ciò che, così facendo, si rischia di lasciarsi per sempre alle spalle.

Il padre autoritario

Da bambino ansioso e apprensivo in una famiglia disfunzionale nei sobborghi di Philadelphia, secondogenito di un padre duro e autoritario, a star di Hollywood, mattatore incontrastato, trionfatore dei botteghini. Tutta l'incredibile storia di Will Smith, l'ex Principe di Bel-Air che ha fatto sognare e ridere intere generazioni con le sue avventure sul grande schermo, racconta lo scontro epico tra amore, ambizioni, paure e successo. Che tu sia uno dei più potenti e strapagati attori hollywoodiani o una persona comune alle prese con problemi comuni, la verità è una sola ed è la stessa per tutti: per realizzare le tue ambizioni senza sacrificare sull'altare del successo la felicità tua e di chi ami è essenziale non smettere mai di imparare. E ascoltare anche le voci che non ti piacciono, quando le incontri lungo il cammino.

L'idea di uccidere il padre per vendicare la madre e scusarsi con Lei

Nell'autobiografia "Will" l'attore racconta la difficile infanzia a Filadelfia, segnata dalle violenze e dagli abusi del padre alcolizzato. "Quando avevo nove anni - si legge sul magazine People che ha pubblicato uno stralcio del suo memoir -  vidi mio padre colpire alla testa mia madre così forte da farla collassare. La vidi sputare sangue", scrive. "Quel momento in quella camera da letto, più che qualsiasi altro, ha definito chi sono. Tutto quello che ho fatto - i premi e i riconoscimenti, i riflettori, i personaggi e le risate - sono state il filo sottile per scusarmi con mia madre, per non aver fatto nulla quel giorno".

I genitori si separarono nel 2000 e Will mantenne i rapporti con il padre. L'attore, però, non dimenticò mai l'episodio: "Da bambino mi promisi che un giorno avrei vendicato mia madre, quando fossi stato abbastanza grande e forte. Quando non fossi stato più codardo l'avrei ammazzato".

L'occasione si presentò molti anni dopo, quando il padre era malato e costretto su una sedia a rotelle. "Una notte lo stavo accompagnando dalla camera da letto al bagno. Mi fermai in cima alle scale, avrei potuto spingerlo giù e cavarmela facilmente. Sono uno dei migliori attori del mondo, la mia chiamata al 911 sarebbe stata da Oscar. Poi però scossi la testa e proseguii verso il bagno".

Uno stralcio del suo nuovo libro: un brano sul razzismo

"Mi sono sentito chiamare apertamente 'negro' cinque o sei volte in tutta la mia vita: due volte da altrettanti agenti di polizia, in un paio di occasioni da perfetti sconosciuti, in una circostanza da un 'amico' bianco, ma mai da qualcuno che pensavo fosse intelligente o forte. Una volta ho sentito alcuni dei bambini bianchi a scuola 'scherzare' su una giornata di 'caccia al negro', una 'festività' apparentemente ben nota nei loro quartieri. Ai primi del Novecento, alcuni membri della comunità bianca di Philly sceglievano un giorno specifico per aggredire qualsiasi nero vedessero aggirarsi nel vicinato. Settant'anni dopo, alcuni dei miei compagni di classe della scuola cattolica trovavano ancora divertente scherzarci sopra. Ma qualsiasi vera esperienza io abbia avuto con episodi di aperto razzismo si è verificata con persone che nella migliore delle ipotesi consideravo come nemici fragili. Gente che ai miei occhi appariva ottusa e rabbiosa, e che non mi sembrava per nulla difficile da vincere o schivare. Di conseguenza, questa forma di razzismo palese, benché pericolosa e onnipresente come minaccia esterna, non mi ha mai fatto sentire inferiore.

Sono cresciuto nella convinzione di essere intrinsecamente attrezzato per gestire qualsiasi problema potesse sorgere in vita mia, razzismo incluso. Una combinazione di duro lavoro, istruzione e fede in Dio avrebbe abbattuto qualsiasi ostacolo o nemico. L'unica variabile era il grado d'impegno che ho dedicato alla battaglia.

Più crescevo, pero, più diventavo consapevole di certe forme di pregiudizio silenziose, inespresse e più insidiose perché sempre in agguato. Mi cacciavo in guai più grossi se solo facevo le stesse cose che facevano i miei compagni di classe bianchi.

Venivo interpellato con minor frequenza e sentivo che gli insegnanti mi prendevano meno sul serio. Ho trascorso la maggior parte della mia infanzia a cavallo tra due culture: il mondo dei neri, a casa, nel quartiere, alla chiesa battista e al negozio di Papo; e il mondo bianco della scuola, della Chiesa cattolica e della cultura prevalente in America. Andavo in una chiesa frequentata esclusivamente da neri, vivevo in una strada abitata solo da neri e sono cresciuto giocando soprattutto con altri ragazzini neri. Allo stesso tempo, però, ero uno dei soli tre bambini neri che andavano alla Nostra Signora di Lourdes, la scuola cattolica locale. […] Alla scuola cattolica, per quanto fossi intelligente e parlassi bene, rimanevo pur sempre il ragazzino nero. A Wynnefield, per quanto fossi aggiornato in fatto di musica o di moda, non ero mai nero abbastanza. Sono diventato uno dei primi artisti hip hop ritenuto sufficientemente "sicuro" per il pubblico bianco.

Ma il pubblico nero mi etichettava come rammollito perché non rappavo stronzate hardcore e gangsta. Una dinamica razziale, questa, destinata a darmi il tormento per tutta la vita. Ma proprio come a casa, dare spettacolo e fare ridere divennero la mia spada e il mio scudo. Ero il classico pagliaccio della classe, che raccontava barzellette, emetteva versi stupidi e non smetteva mai di rendersi ridicolo. E finché rimanevo il ragazzino spassoso, significava che non ero soltanto il ragazzino nero.

Divertente è un concetto che esula dai pregiudizi razziali; la comicità disinnesca ogni negatività. È impossibile essere arrabbiato, rancoroso o violento quando sei piegato in due dalle risate"

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