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La scena di un attimo infinito nelle opere del pittore siciliano Nicola Pucci

L’artista palermitano espone a New York e Milano. Nel solco della più alta tradizione pittorica italiana si inserisce il pittore siciliano, con un linguaggio contemporaneo e un verso unico

Se ne parla a voce alta  in questi giorni di Nicola Pucci, il pittore siciliano, già  da  decenni amato  da  tanti estimatori e da collezionisti lungimiranti e seguito da importanti critici, che  oggi ha un posto sempre più rilevante nel panorama artistico  contemporaneo. Il mese appena trascorso è stato per il maestro un tempo particolarmente  fecondo anche a livello internazionale,  il 10 marzo infatti  a New York nel distretto di Manhattan, è stata inaugurata la sua personale  “Beyond Reality” presso la Galleria Ca' d'Oro di Chelsea,  alla presenza del  Console Generale di New York, Fabrizio Di Michele e  con testo critico di Gianluca Marziani.

Il 24 marzo invece si è aperta  a Milano  la mostra  “La Figura e il paradosso” a cura di Dominique Stella, promossa dalla fondazione Mudima, fondata da Gino Di Maggio, in collaborazione con Arionte Arte Contemporanea e MLC Comunicazione, con  l’esposizione, fino al 24 aprile, di  trentadue opere tra cui alcune  storiche e altre nuove. La notizia  di  quest’ultima avventura  l’hanno diffusa anche Il Corriere della Sera,  Sky Tg 24  nel Calendario dell’arte e la  rivista “ Arte” nel numero di aprile. Nel  solco della  più alta tradizione pittorica italiana si inserisce l’artista palermitano, con un linguaggio contemporaneo e un verso unico. Avido di realtà,  di  questa indaga il segreto e il mistero e  la sua opera oscilla fra fisica e metafisica, fra tangibile e immaginifico,  attraverso il  transito del gesto poetico e dell’emotività.  Crea una personale relatività e  un allineamento spazio- temporale, tra figure e  oggetti dipinti,  decontestualizzandoli  in modo alchemico  e teatrale, per nulla artificioso.

La pittura di Pucci inventa spazi mentali  e visionari in cui riconfigura il reale con slanci fantasiosi e pieni di ritmo  che la trascendono senza negarla o corromperla, partendo da uno scavo che punta ad un oltre. Con mano precisa e impeccabile fattura,  supera  modelli  canonici e genera  nuove prospettive  di tecnica e di poetica,  lavorando per sottrazione rispetto alla pittura  stratificata ed effettuata, con colature, abrasioni, velature. Queste lacerazioni non sono annullamento ma liberazione dell’opera pittorica. La visione spiazza,  meraviglia, crea nello spettatore un senso di benefico straniamento, di vertigine, che non destabilizza, ma provoca, con un  gioco di  inediti d’incastri visivi , in bilico tra ferialità e  sogno, osservazione e visione. Il suo processo creativo si condensa in una scena fissata nell’attimo, nell’accadimento che rivela un’epifania; in un fotogramma senza un compimento, aperto all’imponderabile, come diceva Montale  nella poesia Prima del viaggio: “ L’imprevisto è la sola speranza ”.

E l’azione è sospesa, scomposta, sfrangiata, decostruita. L’universo pittorico  di Pucci, che ha come centro focale la figura umana,  è spesso popolato  da sportivi  tesi a sfide di  superamento di limiti (nuotatori, pugili, fantini, calciatori), da uomini e donne legati da relazioni e incursioni  sorprendenti ( “paradossali”) nella terra della visionaria costruzione dell’autore. Accanto a questi frammenti di umanità,  il suo mondo si popola anche di animali,  soggetti rappresentati in modo tecnicamente ineccepibile, ma anche simboli di tenerezza, cura, abnegazione. Una commedia umana, quella messo in scena dall’artista siciliano, alla ricerca di identità e di fisionomia esistenziale  ma raccontate  con lievità. Nicola Pucci, classe 1966, palermitano, ha frequentato l’Istituto Europeo del Design (IED)  di Roma nel corso quadriennale di illustrazione pubblicitaria, si  è  poi   trasferito a Vipiteno dove  ha disegnato le  copertine dei  quaderni “Pigna”.  Dedicandosi poi  esclusivamente alla pittura, rientrato definitivamente a Palermo, ha fatto la sua prima mostra nel 1994. Poi  si sono susseguite  le esposizioni in Italia in sedi prestigiose e  all’estero, in  Gran Bretagna,  Francia e  negli Stati Uniti, dove si è recato esattamente 20 anni prima dell’attuale mostra  newyorkese.

Il suo lavoro è stato  studiato da critici e curatori di rilievo internazionale quali  Larry Gagosian, Carlo Bilotti, Vittorio Sgarbi. Nel 2019 la Fondazione Sicilia a Palermo  ha promosso  la sua prima  antologica. Alcune sue opere  si trovano presso collezioni pubbliche e private italiane ed estere  come  il Museo Carlo Bilotti, la Collezione Fendi, la collezione Gagosian, il Museo MacS di Catania. E’ rappresentato da Andipa Gallery- Londra,  Kristin Gary Fine Art - New York  e in Italia da RvB Arts - Roma e MLC- Palermo.

La sua è una figurazione filtrata dalla tensione  continua sia  all’introspezione  che all’immaginazione...

Si, la mia sfida è quella  di trasformare  la figurazione in una sensazione,  il quadro va oltre la figura  e trova nuovo equilibro; le cose che dipingo me le immagino come un sogno.  Mi piace giocare su quello che vedo e che ho attorno,  dipingendo sovrappongo i piani temporali, altero la fisica, faccio cose fuori scala; convive il lato razionale  con  ciò che   l’inconscio e il ricordo  suggeriscono. Ogni giorno è come se vivessi diversi stadi  di coscienza: c’è un momento in cui ho a che fare con le cose reali e uno in cui  ho  a che fare  con l’anima e  il mio inconscio. Nei miei quadri metto questo.

Questa lotta tra realtà e sogno dipingendo  si compone  o  si acuisce ?

Io non parto mai da un’idea, parto da immagini che vedo o conservo,   come  appunti che prendono una forma in maniera del tutto inaspettata,  sono loro che si incontrano e si compongono nella mia fantasia.  Parto  da foto, dal blocco  notes, strappo le pagine  che dialogano  tra loro. L’input è uno spunto razionale, per dare poi  un senso  e una soluzione emotiva alle cose che  supera le leggi, le regole rigide, attraverso la  mia percezione e la mia visione.

Quanto tempo passa tra ispirazione, ideazione e stesura  di un’opera. E, concretamente, come lavora nel suo spazio, casa -atelier?   

È sempre una cosa nuova , certi quadri li risolvo  n più volte,  a me piace lavorare a strati, prima aggiungo e poi tolgo il superfluo, nella sovrapposizione lascio che il colore con la trementina agisca in maniera del tutto casuale,  metto del mio lasciando spazio  alla chimica, ad un’ inclinazione, un’ evoluzione senza controllo. Voglio andare al di là, aspetto di essere sorpreso da qual cos’altro e questo accade oltre la mia immaginazione. Avendo casa e studio insieme, lavoro o penso al lavoro continuamente,  ho sempre  a che fare con qualcosa di creativo, dipingo o disegno.  Quando inizio un quadro,  devo continuare ogni  giorno,  mi alzo presto; diversamente, non ho un metodo preciso, spesso in casa vengo interrotto da qualcuno  e va bene così, tutto è oltre propri desideri.

Quando si è accesa in lei  la scintilla dell’arte e la famiglia ha assecondato le sue scelte?

Da bambino parlavo poco, balbettavo e mia madre mi mise  una matita in mano per aiutarmi, appena ho scoperto questo strumento che  lasciava  un traccia di me, sono rimasto folgorato  e per esercitarmi  copiavo i ritratti delle foto del Giornale di Sicilia. A 4 anni mi regalarono i Carioca,  da quel momento ho trovato una piena realizzazione nel disegnare. In casa guardavo le riviste di arte sui  Maestri del colore della Fabbri, attratto, ne strappavo le pagine. Mi hanno  sostenuto in famiglia, per me non c’era altra ipotesi  lavorativa,  non ero  incline alla disciplina, studiavo  solo quello che mi  incuriosiva e interessava.  Ho poi  frequentato la  IED  nel corso di illustrazione che mi  ha dato un’ impronta molto narrativa ,  come illustratore  mi sono fermato,  subentrava la tecnologia digitale e io cercavo altro. A Roma il maestro Bruno Caruso mi ha spinto a fare ciò che mi piaceva, a fare pittura; io  visitavo  musei, ammirando l’ arte  romana antica e quella del seicento, di Caravaggio.  Mi sono nutrito di pittura e ho poi trovato la mia strada.

Ci racconti i cicli  della sua opera e il momento artistico che sta attraversando...

Nei primi quadri raffiguravo i corpi umani, la pelle rarefatta, come se volessi vedere dentro l’uomo, poi figure ( che ricordano Ionesco e altri drammaturghi)  in serie, come i personaggi in cerchio, in cui  l’individuo fa una cosa e ne subisce un'altra, in cui  i soggetti sono in continuo confronto e dentro un’architettura teatrale; questo risentiva delle mia educazione di  illustratore . Ho cominciato poi a  raccontare le  persone in contesti differenti,  secondo gli orizzonti della mente; pensi una cosa e succede  oltre  le divisioni spaziali e temporali.  Oggetti e soggetti  nelle opere sono connessi  secondo una mia personale  lettura.  Questo concetto ha trovato forma  compiuta nella fase attuale,  in cui mi servo, ad esempio, di  sportivi  che  vogliono superarsi e raggiungere un traguardo, soprattutto  mentale.

 E quel ciclista  che corre in un suo dipinto,  si fermerà ?

Non si sa, ma mi piacerebbe che l’abbracciasse  qualcuno,  che quel bambino che dipingo si fermasse e  lo accogliesse alla fine il padre distratto... ma l’esito delle azioni nei mie quadri  è sempre incerto! Mi affascina il momento di sospensione, in cui il gesto ha risvolti  molteplici,  anche se vorrei che finisca in un modo,  può succedere di tutto. Conta l’attesa,  lo scriveva Leopardi nel Sabato del Villaggio.

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