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Eurovision 2022: la musica può tutto, anche spostare i confini

E vedi la musica. E senti le parti del mondo scritte su uno spartito particolare e universale. Che a volte non ci capisci niente, eppure magicamente è tutto chiaro. E perfettamente tondo com'è il mondo.
Più che una mappa, è una cartina di tornasole l'Eurovision. Un contesto di canzoni con le sue proprie geografie (fisiche ma anche politiche) di culture, con bagagli a mano pieni di storie, desideri in spalla, ambizioni dentro la testa e fari puntati negli occhi.

È un viaggio, uno spettacolo dal vivo delle emozioni. Un imponente (a tratti anche elegante) circo di strumenti gridati e voci suonate. Contraddizioni piene di coerenza, look che sanno d'habitus, persone intrise di personalità, drink per brindare agli incontri. L'inossidabile pop, l'elettro rock, le venature soul, le tracce blues, le note rap. Il reggaeton con influenze europee, l'Europa con incursioni esotiche. Come l'Australia, in mezzo a noi di un altro oceano, bagnata da un calore tanto enorme per quello che succede di qua dal mare da infilarsi tutta immensa in un continente piccolo piccolo. E starci dentro, come un grande Achille Lauro imbizzarrito è riuscito a star dentro al minuscolo San Marino.

La musica lo può fare. Spostare i confini, ridisegnarli, renderli addirittura invisibili, inutili, ridicoli di fronte ad un discorso che è tutti i discorsi. E serate come queste lo provano.
La musica che può riportare il rumore di Diodato in mezzo alla gente, che sa assalire di ricordi, incorniciare quell'immagine indelebile di un'Arena di Verona deserta e lasciarla lì, dove si può (si deve) ancora guardare ma (magari) senza più toccarla.
La musica che prima lancia i Maneskin e poi se li riprende, perchè serve andare per tornare, perchè è necessario tornare per ripartire, mostrarsi per dimostrare, perchè ci sia una certa riconoscenza oltre la sicura riconoscibilità.
La musica che all'Eurovision non si sottrae. Che tira fuori messaggi impastati di testo e libertà. Che semmai aggiunge quote di valore a valori sperduti ma non ancora persi.
La musica non come la nomini ma come la animi. Il suono della bellezza che titola a tutta pagina le innovazioni, le evoluzioni, le citazioni. Pure le digressioni e le retrocessioni del nostro tempo. Che ci mette la faccia, magari mascherata, super truccata e comunque lì, pronta per essere giudicata.

E poi ti guardi intorno, t'investe il frastuono della follia e pensi che talvolta basterebbe un coro muto, cantare a bocca chiusa. Se il mondo fosse musica basterebbe il falsetto di Mahmood per dire la verità e la chiarezza di Blanco per far venire i brividi. Se il mondo fosse musica basterebbe una Kalush Orchestra diffusa per ristabilire l'armonia. La musica lo sa fare.

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